Casapound rimuove la scritta dal palazzo che occupa da anni a Roma. La sindaca Raggi: “E’ solo l’inizio. Ora va sgomberato l’immobile”

La scritta Casapound è stata rimossa dalla facciata della storica sede del movimento di estrema destra, in via Napoleone III a Roma. A toglierla sono stati gli stessi attivisti in vista dell’operazione di rimozione che era prevista per domani mattina, dopo l’ordine notificato al movimento dalla sindaca Virginia Raggi. Sulla facciata del palazzo, che il movimento di estrema destra occupa dal 2003, è ancora presente lo striscione affisso contro il Campidoglio che recita: “Questo è il problema di Roma”. “E’ solo l’inizio. Ora va sgomberato l’immobile e deve essere restituito alle famiglie che ne hanno davvero diritto. Va ripristinata la legalità. Fino in fondo” ha commentato, con un tweet, la sindaca Raggi.

“Virginia Raggi ha ragione. In una città diventata latrina e barzelletta d’Italia – afferma Casapound in una nota -, la bellezza di una scritta di marmo perfettamente in linea con lo stile razionalista di un palazzo anni ’30 stona troppo. La togliamo momentaneamente in attesa della rinascita di Roma che avverrà il giorno, ormai prossimo, in cui il flagello talebano della giunta Raggi sarà definitivamente sconfitto e cacciato dalla Nostra città. Quella di Virginia Raggi per Casapound è una ossessione. Non ha mai speso una parole per le oltre 100 occupazioni rosse di Roma, come l’ex colonia Vittorio Emanuele occupata ad Ostia (alla quale il Comune di Roma paga anche le utenze), mentre non passa giorno che il sindaco di Roma non invochi lo sgombero di Casapound o si produca in passerelle in via Napoleone III”.

“Questo – conclude la nota del movimento di estrema destra – mentre la Capitale d’Italia non è mai stata così brutta, sporca e inefficiente, mentre sprofonda tra rifiuti e degrado. Singolare inoltre che il sindaco di Roma si rechi all’Esquilino, rione simbolo del degrado e dell’insicurezza di Roma, solo per lo stabile di via Napoleone III. Un luogo che ha dato rifugio a decine di famiglie italiane in difficoltà e che rappresenta l’unico luogo di cultura del quartiere, come ricordato da vari artisti tra cui il regista americano Abel Ferrara”.