Così la Shoah diventò una fiction. Nel ’78 l’emittente americana Nbc lanciò Holocaust. Oggi un saggio ne ripropone il dibattito filosofico

L’aprile del 1978 è una data esemplare nella storia della televisione: per la prima – e finora unica – volta lo sterminio di milioni di ebrei ad opera di Hitler e dei nazisti diventa una miniserie tv in quattro puntate da 120 minuti, Holocaust, trasmessa dalla americana NBC, e importata anche in Italia su Rai1 esattamente l’anno successivo. La saga di due famiglie, quella ebrea dei Weiss e quella ariana dei Dorf, si snoda sullo sfondo delle catture, delle deportazioni, del vortice di rabbia infelicità e follia assunti come materia calda di un programma di grande intrattenimento, aprendo così un dibattito sulla liceità della scelta da parte dei broadcaster e sull’utilità delle metodologie mediatiche per approcciare le lacerazioni di una ferita epocale che nessuno dimenticherà mai.

In Olocausto: la tv sociale (Franco Angeli, pagg. 85, euro 13), a cura del sociologo Vanni Codeluppi (nella foto), si ricostruisce il dibattito a distanza sulla questione fra due eminenti figure del pensiero occidentale: Gunther Anders e Jean Baudrillard. Il filosofo tedesco era a favore dell’operazione: la fiction sarebbe servita a “ripersonalizzare” quel “megacorpse” delle vittime innocenti perite nei forni, quella montagna di cadaveri e scheletri ormai non più identificabile, né immaginabile, se non come grandezza numerica smisurata, e a ridare sguardo e percezione alla sofferenza e ai conflitti personali di tutti i protagonisti, sulle opposte sponde, di una tragedia immane come la Shoah.

Il maitre-à penser francese non era d’accordo. Le radiazioni “fredde” del tubo catodico, diceva, servivano solo per riesumare e rianimare una rete di significati che non aveva più nulla di traumatico per l’opinione pubblica, “un fremito tattile e un’emozione postuma”, l’annientamento di ogni storicità, che riguardasse il passato o ogni possibile esorcismo all’oblio dei lager nel presente. Magari l’idealismo di Anders avesse preso il sopravvento nel dolorismo e nell’orrorismo che imperversa oggi nei media mainstream. Baudrillard, grande profeta.

Sulla sua lunghezza d’onda anche il ricercatore Davide Navarria che in questo suo bel testo L’agire intimo (Mimesis, pagg. 126, euro 12) ricostruisce proprio le forre semantiche dell’osceno iconografico e farneticante che trasuda da reality e politiche-social, là dove si crea un nuovo “circolo totalitario”, un “tutto pieno” che scruta e sequestra la parola, negando con la “stagnazione” del senso collettivo ogni trasalimento del desiderio, ogni visione dell’illimite, ogni culto della singolarità, dove sola si vela e prorompe l’eccezionalità di una vera differenza, altrimenti merce da scaffale della mente.