Dalla salama da sugo alla zucca di Piozzo, la caccia al voto vien mangiando. Spopolano in Parlamento le leggi sui prodotti tipici. Da Franceschini a Calderoli ecco cosa prevede il menù

In principio fu la salama da sugo. E il suo cantore: Dario Franceschini. Lui magro, lungo, ferrarese, avvocato. Lei tonda. Grossa. Grassa. Fino a un chilo e mezzo di carne, rigorosamente di maiale, da cuocere a lungo e poi affogare nel puré. Ma, soprattutto, da difendere e da diffondere: obiettivo cui Franceschini, ministro ai Beni culturali più duraturo della Repubblica, si applica testardo fin dal 2004, anno del primo progetto di legge in cui espressamente la menziona. Nessuno rida. Non solo perché a “sua maestà la salama da sugo” Franceschini è rimasto stra-fedele, tanto da portarsela pure alla presentazione del suo romanzo Daccapo. Ma perché oggi in Parlamento il cibo è una cosa sempre più seria. Anzi, è forse l’unica stella polare che rimane agli onorevoli in cerca di legame col territorio e, soprattutto, di voti.

In questa legislatura si sono attivati, per ora, soprattutto Lega e 5 Stelle. I leghisti Giorgio Maria Bergesio e Roberto Calderoli, per dire, hanno portato in Senato le eccellenze della provincia di Cuneo (carne cruda di Fassona, risotto al porro di Cervere, zucca di Piozzo), mentre Emanuele Pellegrini e Gianpaolo Vallardi, presidente della commissione Agricoltura, hanno apparecchiato gnocchi con le patate di Oreno e crema all’asparago rosa di Mezzago. I 5 Stelle hanno caldeggiato alla Camera le nocciole di Giffoni Valle Piana (sponsor la compaesana Anna Bilotti), olio e vino della Capitanata (grazie ad Antonio Tasso, ora al Misto) e i prodotti di Amatrice e dintorni (su iniziativa di Filippo Gallinella, presidente della commissione Agricoltura), alternati al Senato col pane nero di Castelvetrano (grazie a Francesco Mollame) e le birre artigianali della Cooperativa Messina, esempio virtuoso di workers buy out (sponsor Grazia D’Angelo e l’allora presidente della commissione Lavoro, e oggi ministro, Nunzia Catalfo). Persino la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati non ha esitato ad alzare i calici in svariati brindisi d’onore, muovendosi disinvolta tra la guancia di manza piemontese e la Falanghina del Sannio stappata da Sandra Leonardo, moglie di Clemente Mastella, in una memorabile “degustazione letteraria” che ha visto esibire Deborah Caprioglio.

Oddio, le degustazioni (gratuite) di prodotti tipici, con annessa (eventuale) presentazione di una leggina a loro tutela, non sono una novità nella vita del parlamentare medio italiano. Ma in passato il parlamentare era soprattutto il testimonial dei prodotti della sua terra, vedi Franceschini, mentre la XVIII legislatura ha laureato nuovi protagonisti multi-orizzonte. Su tutti svetta il senatore Antonio De Poli, presidente dell’Udc: vicentino, 60 anni, 5 legislature, il questore anziano di Palazzo Madama è una macchina da guerra nel promuovere eventi e valorizzare sagre, sindaci, produttori, pro loco, oltre a 600 mila volontari (ed elettori) “che, ogni giorno, da Nord a Sud, da Bolzano a Trapani, si occupano di valorizzare le nostre tradizioni”. Dal carciofo bianco di Auletta (Salerno) alla porchetta italica di Campli (Teramo), non c’è prodotto tipico che sfugga alle sue foto opportunity o ai suoi convegni (l’ultimo, il 20 gennaio, ha celebrato ben 28 nuove sagre doc).

Per non parlare del ddl sulle pro loco (“sagre e fiere sono in grado di produrre una ricchezza pari a 2,1 miliardi di euro”) che De Poli ha presentato poco prima di Natale: unico provvedimento davvero trasversale della legislatura, ha messo d’accordo i leghisti Vallardi e Bergesio (che di suo aveva già presentato un ddl per la “valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari”, approvato dal Senato in settembre e ora passato alla Camera), Paolo Arrigoni e Stefano Candiani, la capogruppo forzista Anna Maria Bernini e il collega Lucio Malan, il renzianissimo Davide Faraone, la capogruppo del misto Loredana De Petris, l’ex M5S Ugo Grassi, i 5 stelle Elio Lannutti e Vincenzo Garruti, il capogruppo Fdi Luca Ciriani e quello Pd Andrea Marcucci, l’ex ministro dem alla Difesa Roberta Pinotti… Un miracolo? Forse no. Forse Franceschini l’aveva davvero vista giusta: “Il cibo italiano è un pezzo profondo del nostro Dna”. E chi ha il coraggio di mettersi contro il Dna di una nazione? Buon appetito a tutti.