Dell’Utri e i boss. Forza Italia battezzata dalle mafie. Testimonianza shock a Reggio Calabria. La rivelazione al processo sulla ‘Ndrangheta stragista

A tenere a battesimo Forza Italia è stata la mafia. Ancor più nello specifico Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta. Fin dai primi giorni della discesa in campo di Silvio Berlusconi, quando il nuovo partito del Cav irrompeva nella scena politica italiana sommersa dalle macerie della Prima Repubblica, a Roma, dove batte il cuore del potere, i boss erano presenti a una convention azzurra organizzata da Marcello Dell’Utri, già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Il particolare è emerso nel corso del processo denominato ‘Ndrangheta stragista, in corso davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria, in cui sono imputati Giuseppe Graviano, ex capo mandamento del quartiere palermitano di Brancaccio, e Rocco Santo Filippone, ritenuti i mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, assassinati nel gennaio del 1994 lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, nei pressi di Scilla.

IL COLPO DI SCENA. Nel corso dell’udienza di ieri il pm Giuseppe Lombardo ha depositato un’informativa dell’Antiterrorismo in cui si segnalava nel 1994 la presenza in un albergo capitolino, in vista appunto di una convention di Forza Italia, di Marcello Dell’Utri e di alcuni mafiosi siciliani e calabresi, tra i quali il pentito Gaspare Spatuzza, autoaccusatosi di quaranta omicidi, e lo stesso Giuseppe Graviano, suo capo mandamento. Tale particolare sarebbe stato confermato dai dipendenti dell’albergo e i mafiosi lì presenti sarebbero gli stessi segnalati mentre si trovavano in un noto bar, sempre di Roma, a discutere dell’organizzazione dell’attentato, poi fallito per un malfunzionamento del telecomando, contro i carabinieri in servizio durante un incontro di calcio allo stadio Olimpico di Roma, il 23 gennaio del 1994, ultimo capitolo della cosiddetta stagione stragista.

Nel corso dell’udienza è stato inoltre ascoltato l’ex boss di Cosa Nostra, Nicola Mandalà, attualmente collaboratore di giustizia, che secondo gli investigatori impegnati nell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-Mafia avrebbe riferito al boss Giuseppe Lo Verso, anche lui pentito, che avevano “nelle mani Marcello Dell’Utri, Renato Schifani e Saverio Romano”, big di FI. Le risposte evasive di Mandalà, da cui l’avvocato Francesco Aloisio, difensore di Graviano, ha cercato anche di avere notizie sull’assassinio di Michele Graviano, padre di Giuseppe, ucciso nel 1982 da Gaetano Grado su mandato dei boss palermitani che si opponevano all’ascesa dei corleonesi, hanno però portato il presidente della Corte d’Assise, Ornella Pastore, a concludere in fretta la deposizione. Nello stesso processo accuse a Berlusconi, nelle precedenti udienze, sono arrivate dallo stesso Giuseppe Graviano, il quale ha sostenuto che negli anni ‘70 il nonno materno, Filippo Quartararo, aveva investito denaro nell’edilizia al Nord e che il contatto era proprio con il Cav.

Parole ritenute anche da esperti osservatori come sospette, una sorta di messaggio inviato dal boss all’anziano leader di Forza Italia. Graviano ha inoltre specificato di aver incontrato Berlusconi da latitante “almeno tre volte” e che l’ultimo faccia a faccia l’avrebbe avuto nel dicembre 1993 in un appartamento a Milano 3, poche settimane prima del suo arresto e quando FI era ormai pronta alla conquista di Palazzo Chigi. Dichiarazioni bollate dai legali di Berlusconi come “totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie”.