Dopo l’Arabia anche la Turchia. Altre bombe in partenza da Cagliari. Il leader di Unidos, Pili: 4 container diretti ad Ankara. Erdogan da mesi è in guerra aperta contro i curdi

La denuncia non poteva passare in silenzio. Non fosse altro per il fatto che tutto è stato documentato con un video pubblicato su Facebook, nel quale si vedono prima camion scortati e, poi, container presi e caricati su una nave al porto di Cagliari. A spiegare cosa sia successo è stato Mauro Pili, leader di Unidos ed ex parlamentare, da sempre attento alla drammatica morsa in cui vive il Sulcis e, più in particolare, Domusnovas: da una parte l’esigenza di lavorare e dall’altra il dubbio morale di fabbricare bombe che poi, grazie anche e soprattutto all’autorizzazione dello Stato italiano (nella fattispecie della Farnesina), vengono vendute all’estero.

Anche a Paesi per i quali, stando alla legge sull’autorizzazione all’esportazione di armamenti (la legge 185 del 1990), ci sarebbe più di un dubbio sul poterlo fare o meno. Il caso più eclatante, come si ricorderà, c’è stato con l’Arabia Saudita, tanto che solo pochi mesi fa – con colpevole ritardo e centinaia di bombe vendute e sganciate sull’inerme Yemen – il Parlamento ha approvato una mozione con cui è stato impegnato il Governo a interrompere ogni commessa di bombe o missili diretti all’Arabia.

I NUOVI SAUDITI. Ma dopo i sauditi ecco che spuntano i turchi. La rivelazione, come detto, è opera di Pili: “Da stamane – scriveva pochi giorni fa il leader di Unidos – nel porto canale di Cagliari la nave turca ‘Safiya Ane’ ha caricato centinaia di bombe per il regime turco”. Stando al sito che monitora in tempo reale gli spostamenti delle navi, in effetti, risulta che la Safiya Ane, dopo essere stata a Cagliari, si è diretta a La Spezia prima di far ritorno a Derince, vicino ad Ankara. Questo “viaggio” non è di poco conto. Specie se si considera il caos politico internazionale scoppiato solo poche settimane fa quando Recep Tayyip Erdogan ha deciso, di fatto unilateralmente, di dichiarare guerra ai curdi, rinvigorendo così peraltro anche gli sparuti miliziani dell’Isis rimasti.

“Nonostante la legge italiana vieti la vendita, il trasporto e il transito sul territorio nazionale di armi destinate a paesi in guerra”. Né parliamo, secondo la denuncia di Pili, di un carico secondario: quattro container carichi di “non meno di 400 bombe Mk 82. Si tratta delle micidiali bombe prodotte dalla fabbrica RWM tedesca nella zona artigianale di Domusnovas”, spiega Pili interpellato da La Notizia.

VENDITE ARMATE. Dopo la sua denuncia, però, tutto è rimasto in assoluto silenzio: “Come al solito, nessuno dall’azienda ha commentato o ha negato quanto ho detto, né tantomeno qualcuno del Governo è intervenuto”, dice sconsolato Pili. Ed è qui che si manifesta quello che sembrerebbe un vero paradosso: “Da una parte si è condannata l’iniziativa di Erdogan, ma dall’altra non si bloccano le commesse. È un controsenso che non tocca questa o quella forza politica, ma il sistema-Stato che non sa reagire dinanzi al business armato”. I numeri, d’altronde, parlano per tutti.

Nell’ultimo quadriennio, cioè da quando Erdogan è stato eletto presidente della Repubblica di Turchia (agosto 2014), l’Italia ha autorizzato esportazioni di armamenti ad Ankara per un valore complessivo di oltre 890 milioni di euro e ha effettuato consegne per quasi 464 milioni di euro. Secondo i dati della Relazione governativa, nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione per un valore di oltre 360 milioni, che fanno della Turchia il primo acquirente di sistemi militari italiani tra i paesi dell’Ue e della Nato.