Dopo i generali tocca ai sindaci. Salvini li commissaria coi prefetti. Altra direttiva del ministro per prendersi pure le città. Ma Di Maio non ci sta

L'ego del leader della Lega Matteo Salvini non conosce limiti

L’ego di Matteo Salvini non conosce limiti. A colpi di direttive si sta dispiegando a tutto campo. Dai porti fin dentro il cuore delle città. Dopo i migranti nel mirino del ministro dell’Interno finisce pure il degrado delle città. E dalla direttiva che impartiva ordini alla Difesa sui soccorsi in mare – respinta al mittente dallo Stato maggiore – passare a quella con cui il Viminale invita ora i prefetti a creare “zone rosse” nei centri urbani per allontanare “i balordi”, per il ministro dell’Interno è roba di un attimo.

“Dove non arrivano i sindaci arriviamo noi”, annuncia il titolare del Viminale. Ma Luigi Di Maio insorge. Il vicepremier e capo politico M5S contrattacca: “Chi governa lo scelgono i cittadini. E’ l’abc della democrazia”. Protesta anche il presidente dell’Anci, Antonio Decaro: “Noi sindaci amministriamo ogni giorno e non abbiamo bisogno di essere commissariati da nessuno”. E poi rimangono in piedi le tensioni Viminale-Difesa. Da una parte c’è Salvini che ostenta sicumera e assicura che nessun vertice abbia mai manifestato irritazione: “Lavoro quotidianamente con tutti i rappresentanti delle forze di sicurezza e non ho mai avuto un problema. Li ho sentiti anche oggi. Il Viminale – dichiara – lavora in perfetta sintonia con la Difesa per la protezione dei confini”.

E aggiunge: “Se però qualcuno, per ragioni politiche, vuole o immagina i porti riaperti lo dica chiaramente. Da responsabile dell’Interno confermo che in Italia entra solo chi ha il permesso”. Dall’altra ci sono i vertici militari che prendono carta e penna e in una nota affermano quanto segue: “Alla luce delle notizie stampa emerse in queste ore, lo Stato Maggiore della Difesa evidenzia che le Forze Armate sono uno strumento tecnico operativo al servizio del Paese e che ogni attività viene pertanto svolta in aderenza alle indicazioni politiche e secondo la prevista linea gerarchica”. Una nota che lascia ben pochi dubbi in quelle ultime parole “secondo la prevista linea gerarchica”. Dal momento che le Forze armate dipendono in prima battuta dal ministero presieduto da Elisabetta Trenta. E non da quello dell’Interno.

Come ampiamente noto, i vertici militari hanno manifestato non poco malumore nei confronti della direttiva firmata dal numero uno del Viminale e costruita ad hoc per tenere lontane le ong dalle nostre coste. Direttiva indirizzata non solo alle forze di Polizia ma anche alla Marina militare e al Capo di Stato maggiore della Difesa. Un’ingerenza che avrebbe irritato il ministro della Difesa ancora di più di quanto già non lo fosse per il braccio di ferro in corso con il collega Salvini sulla politica dei porti chiusi. E che tra i due ministri regni il gelo lo conferma il fatto che ieri alla Camera, in attesa entrambi del question time, non si siano neanche parlati.

I 5 Stelle – in una linea che parte da Di Maio e finisce al ministro Trenta – da giorni e giorni sostengono che di fronte all’inasprirsi del fenomeno migratorio la politica dei porti chiusi da sola non può reggere, che la misura si è rivelata in alcuni casi efficace ma che rimane pur sempre occasionale. Il rischio che la crisi in Libia possa far aumentare gli sbarchi di migranti nel nostro paese “è reale ed esige una soluzione di ampio respiro regionale ed europeo”, ribadisce il ministro della Difesa.

In parallelo a questo piano di discussione corre l’offensiva di Salvini sull’allarme terrorismo che si traduce nella campagna aggressiva scatenata dal vicepremier sui “porti chiusi”. Sulla cui gestione il vicepremier leghista rivendica l’assoluta paternità. “Il porto – dice – va assegnato dal ministro dell’Interno, se il ministro non lo assegna non c’è. Può piacere o no, posso essere simpatico o no, ma è così. I porti restano chiusi”. Il refrain rimbalza da un social all’altro di Salvini: “In Libia – si legge sul suo profilo Twitter – ci sono migliaia di terroristi islamici: il rischio di infiltrazioni sui barconi è una certezza. Per questo serve fermezza, ribadire che in Italia non si sbarca”.

In questo caso spetta al mite ministro degli Esteri ricondurre dentro il confine della ragionevolezza gli allarmi di Salvini. La questione dell’eventuale presenza di possibili jihadisti che si mescolano ai migranti sui barconi “non è interamente nuova”, dice Enzo Moavero Milanesi: “Se si dovesse aggravare la situazione, potrebbero esserci situazioni più acute, ma non si tratta – insiste il numero uno della Farnesina – di un’emergenza nuova”.