L'Editoriale

Riina libero ma solo se si pente

Un coro di No alla possibilità che il capo dei capi di cosa nostra, Totò Riina, sia scarcerato per andare a morire in casa sua

Dalla Direzione Antimafia a uno dei magistrati simbolo della lotta alle mafie, il procuratore Gratteri, sino a molti politici e alla sollevazione sui social network, è tutto un coro di No alla possibilità che il capo dei capi di cosa nostra, Totò Riina, sia scarcerato per andare a morire in casa sua. A 86 anni e molto malato, dopo 23 anni di prigione in regime di massima sicurezza, l’uomo Riina è cosa diversa dal simbolo che non ha mai smesso di incarnare: quello del padrino a cui tutti portano ancora rispetto. Un ruolo che non ha voluto togliersi di dosso confessando e smettendola di prendersi beffe dello Stato, respingendo ogni accusa di mafia. Quanto afferma la Cassazione è però sacrosanto. Umanità e senso laico dello Stato impongono alle istituzioni di non scendere allo stesso livello bestiale di un criminale che ha fatto morire senza pietà centinaia di persone, diffondendo quell’illegalità che  tuttora presenta il conto in un Sud dove ai mammasantissima di bacia la mano pure mentre vanno in galera. Se Riina vuole l’umanità dello Stato si penta e abbatta quel mito. Diversamente il carcere resta il suo giusto posto.