L'Editoriale

Ultima chiamata per Bruxelles. Senza Eurobond stavolta è finita

Niente di più facile che fare un giro sui social per vedere cosa pensano di Mario Monti moltissimi italiani: è un traditore. Ciò non di meno, il diretto interessato non lesina interviste sui giornali e comparsate in tv per darci i suoi consigli su come affrontare i disastrosi effetti economici del Coronavirus. Di disastri, d’altra parte, ne sa più di certi virologi, governatori regionali e assessori alla sanità messi insieme. Quando l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo tirò fuori dal cilindro per esaudire i desideri della signora Merkel, dell’Europa finanziaria e dei mercati, Mario nostro si diede molto da fare, ci coprì di tasse, si guadagnò con la Fornero il copyright di una innovazione di successo – gli esodati – e tagliò servizi ed ospedali, con i risultati che oggi stiamo vedendo.

Ovviamente il senatore Monti ha i suoi argomenti per difendersi, ma se fosse vero che il nostro debito pubblico dell’epoca non offriva alternative a tutto questo, ora che l’esposizione è molto più alta dovremmo avere lo spread sul Monte Everest e la Troika già accomodata in casa. Per non essere così facilmente smascherato, l’ex premier dell’austerità e del rigore ieri proponeva in radio di smetterla con i capricci dei nostri partiti populisti e sovranisti, e prendercelo questo Mes, cioè l’aiuto finanziario dei partner europei che però ci espone alle condizioni draconiane di Commissione Ue, Banca centrale e Fondo monetario.

Il ragionamento è che vabbè, in questo caso l’epidemia sanitaria non è certo colpa nostra, e a Bruxelles saranno magnanimi. Nessuno, dunque, ci farà mai le porcate viste qualche anno fa in Grecia, dove ancora piangono per i memorandum con cui si sono fatti dire pure grazie dopo avergli portato via tutto, senza lasciare un grammo dell’argento di famiglia. Ora, con la poca fiducia che circola sui politici, quanto ci si può fidare di chi – nell’impressione comune – ha tradito già una volta? Naturale, dunque, che Salvini e la Meloni non ci pensino proprio ad ascoltare Monti e a mettere la testa nella bocca del leone, come candidamente ci invitano a fare i falchi tedeschi e olandesi.

Ma la Lega e Fratelli d’Italia sono all’opposizione tanto in Italia che in Europa, e perciò in questa partita non contano niente e non possono fare niente, se non la solita demagogia acchiappa-voti, stavolta per di più con ottime ragioni e rafforzata da quei geni dei leader europeisti. Ben più strano è il gioco del Pd, che davanti sostiene il Governo Conte e la richiesta degli Eurobond (e non del Mes) e di dietro cerca una mediazione, col ministro Roberto Gualtieri e il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni che provano ad aprire la porta del Paese al più classico dei cavalli di Troia.

ULTIMA RESISTENZA. Solo il premier e i Cinque Stelle, con l’autorevolezza conquistata dal primo e il peso determinante del Movimento per la presidenza della von der Leyen, tengono il punto e la speranza di una grande vittoria. Se alla fine delle trattative avrà prevalso la solidarietà, senza trappole e logiche mercantili, nascerà un’altra Europa. Il segnale sarebbe fortissimo, anche per gli altri grandi blocchi economici di Usa e Cina, e da qui potrà partire quel sogno di comunità di popoli e non di Stati che era nell’idea dei padri fondatori dell’Unione. Diversamente per l’Ue non ci sarà molto futuro. L’economia italiana non è più in ginocchio delle altre, e se ci dovremo curare tutti con l’aspirina, facendo ciascuno da se, con prestiti e deroghe ai vincoli sul deficit, l’impoverimento generale e a cascata la prossima vittoria dei partiti isolazionisti saranno inevitabili. Qui – e stavolta ci sta proprio il riferimento storico – o si fa l’Europa o si muore!

La logica della fuga dalla Comunità, al di là di quanto possa essere per molti nostalgica e suggestiva, non è quasi per nulla percorribile, e la controprova di tutto questo ce l’abbiamo con la vicenda della Brexit. Se gli inglesi, che avevano la loro moneta, ci hanno messo anni per salutare Bruxelles, gli Stati indebitati e legati mani e piedi all’Euro non hanno dove andare. Si potrebbe fare, sulla base di un grande accordo politico, un’Europa a due velocità, con il Nord da una parte e l’area latina (o mediterranea) dall’altra, ma anche un tale scenario improbabile e avveniristico porterebbe con se altri problemi di condivisione delle risorse e delle responsabilità capaci di schiantarsi al primo scoglio, divisi come siamo su tutto, a partire dall’accoglienza dei migranti.

L’Europa come ce l’hanno promessa e l’abbiamo sognata invece ha ancora molte promesse da mantenere e molto da dare. Chi ha vissuto la prima generazione Erasmus sa come eravamo provinciali e quante occasioni di crescita, di confronto e di sviluppo ci mancavano. Poi, dopo che i tedeschi si sono ripresi e ci hanno fatto pagare la loro riunificazione, tutto questo è passato in secondo piano, sepolto dai vicoli economici. Una grande occasione che rischiamo di perdere. E un amore tradito. Come Merkel, con Monti e gli altri euro-tecnocrati, pensano di tradirci ancora.