L'Editoriale

Un giorno di lutto per la casta

Comunque lo si giudichi, il taglio del numero dei parlamentari è un traguardo storico. Chi lo contesta usa da mesi gli stessi argomenti: è una mossa populista, priva di risparmi significativi per le casse dello Stato, persino controproducente perché rischia di lasciare alcuni territori senza rappresentanza. Per chi invece l’ha fortemente voluto – e qui la croce l’hanno portata con successo solo i Cinque Stelle – è il segno di una politica che finalmente sta dalla parte dei cittadini, e taglia i suoi costi come li tagliamo tutti noi in questi anni di bassa crescita e sacrifici.

Con i soldi che si risparmiano non ci copriremo certo tutto il debito pubblico, ma aspettiamo ancora di sentire qualcuno disposto a dirci che la poltrona di 345 parlamentari è più importante di una sola delle tante scuole che sarà possibile aprirci. Il vero valore di questa sforbiciata, che ridimensiona un ceto politico tra i più affollati del pianeta, sta dunque nel messaggio che trasmette. L’Italia ha bisogno quanto nessuno di riformare e modernizzare i suoi apparati pletorici, ma ogni volta che ci si prova c’è chi si mette di traverso sostenendo che le cose si possono fare meglio, e così nel frattempo tutto resta immobile.

Ora tutti sappiamo che l’ottimo è nemico del bene, ma ciò nonostante sull’immobilismo non ci batte nessuno. Perciò i sacerdoti di un mondo antico, inefficiente e costoso (a spese nostre) restano l’avversario ancora tutto da battere per chi vuole togliere un altro mattone dal muro che imprigiona il cambiamento di cui abbiamo bisogno.