Fact-checking sul Governo. Ecco a che punto è il contratto. Dal reddito di cittadinanza al taglio dei vitalizi. Tanto è stato già realizzato. Ma ci sono fronti caldi

Sono passati esattamente 161 giorni dall’insediamento del Governo presieduto da Giuseppe Conte

Sono passati esattamente 161 giorni dall’insediamento del Governo presieduto da Giuseppe Conte. Per la prima volta nella storia, come sono soliti ripetere i gialloverdi, un Esecutivo regola le proprie azioni sulla base di un contratto firmato dai due azionisti di maggioranza, Lega e Movimento cinque stelle. Come si sa, però, in ogni organizzazione plurale sorgono fronti e incertezze che potrebbero mettere in dubbio la tenuta dell’organizzazione stessa e il rispetto del contratto. A sentire opposizioni e giornali mainstream, dovremmo essere già da un pezzo sull’orlo finale di una crisi di nervi. Eppure il Governo è ancora in piedi. Ecco perché occorre fare un check per capire cosa finora sia stato fatto e quali, invece, siano i fronti ancora aperti.

Flat Tax lento pede. Partenza soft. Quello della Flat Tax è, di fatto, il provvedimento previsto più deludente di quelli “economici” contenuti nella Manovra. Non fosse altro perché parliamo di un fiore all’occhiello del programma elettorale leghista. In quella circostanza la riforma si sarebbe dovuta applicare a tutti gli italiani. La mancanza di risorse ha però costretto il Governo ad archiviare l’idea e a procedere con una versione ridotta che si applicherà solamente alle partite Iva. A partire dal 2019 ci sarà una flat tax del 15% fino a un reddito massimo di 65 mila euro. A partire dal 2020 entrerà in vigore anche una seconda aliquota del 20% per i redditi fino a 100 mila euro. Complessivamente si tratta di 5 milioni e 363 mila lavoratori. La stragrande maggioranza sono i lavoratori vessati, le Partite Iva.

Reddito in Manovra. Vittoria a 5 Stelle. Parliamoci chiaro: la Lega non ha accettato a cuor leggero l’inserimento del Reddito di cittadinanza, provvedimento simbolo M5S, in Manovra. Basti ricordare le uscite di tanti esponenti del Carroccio (ultima, quella di Giancarlo Giorgetti, secondo cui “è complicato da attuare”). Eppure alla fine l’azionista di maggioranza ha avuto ragione: 10 miliardi inseriti in Manovra, alla faccia di tetti europei e moniti junckeriani. Esattamente come promesso. Piccola postilla: i tempi di applicazione, ritardata inevitabilmente ad aprile se si farà in tempo a rivoluzionare (altro passo fondamentale) i centri per l’impiego.

Via la Fornero. Quota 100 in arrivo. Era, l’abolizione della Fornero, uno dei (tanti) temi comuni sia al programma elettorale dei Cinque stelle che a quello della Lega. Non è un caso che sul punto l’accordo per il programma di Governo è stato pressoché immediato. Anche per queste ragioni è stato un automatismo trovare “spazio” per l’abolizione – anche se parziale – della riforma Fornero in Manovra. La riforma pensionistica di epoca montiana sarà sostituita, esattamente seguendo i desiderata del Carroccio, dalla Quota 100 (che sarà inserita in un collegato alla Manovra) con 38 anni di contributi e 62 anni e le finestre di uscita con un preavviso di 6 mesi per gli impiegati pubblici.

Spese militari. Prova del nove. I tagli annunciati e contenuti in Manovra sono senz’altro una gran cosa. Parliamo, d’altronde, di mezzo miliardo di euro di riduzione di spesa. È altrettanto vero, però, che i fondi destinati alle spese militari sono di gran lunga più elevati. In altre parole, dunque, il taglio non può che essere considerato solo un inizio. Ed è qui che si potrebbe aprire un forte terreno di sconto con gli alleati leghisti. Ne va, invece, della credibilità dei Cinque stelle soprattutto su questioni specifiche. Per dire: dopo i vari annunci è definitivamente caduta nel dimenticatoio la questione degli F-35 (verranno sospesi o no i programmi in corso?) e, soprattutto, quella legata alla vendita delle armi all’Arabia, punto su cui i Cinque stelle in epoca passata hanno fatto grandi battaglie, ma su cui ora è calato il gelo.

Ok alla prescrizione. Ma da sola non basta. Alla fine (leggi articolo a pagina 3) l’accordo è stato raggiunto. Contrariamente ai racconti mainstream dei canali d’informazione, tutti si è risolto per il meglio: sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio a partire da gennaio 2020. Bisognerà vedere in che modo e come il Governo vorrà riformare il processo penale. Dalla prossima settimana sarà all’esame del Senato la legge delega per affidare quest’importante e delicata riforma al Governo. Ed è un terreno di potenziale scontro, viste le due diverse “anime” di Lega e Cinque stelle, la prima più tendente al giustizialismo, la seconda al garantismo.

Il vero cambiamento. Bye bye vitalizi. Altro importante risultato raggiunto (più per i Cinque stelle che per la Lega) è l’abolizione dei vitalizi, supremo scandalo della politica italiana. Ma qui il discorso non è semplicemente etico e d’immagine (specie in un periodo di ripresa economica), ma anche prettamente “erariale”: il taglio agli assegni d’oro consentirà un risparmio per le casse pubbliche, tra Camera e Senato, di 56 milioni annui. La battaglia, come annunciato pochi giorni fa da Di Maio, non pare essere terminata: ora la guerra – ancora più pesante – è contro i vitalizi degli ex consiglieri regionali che, ovviamente, hanno già alzato le barricate.

Pensioni d’oro. Dov’è il taglio? Non è andata ugualmente bene sulle pensioni d’oro, tema effettivamente scomparso dai radar. Misteriosamente. Ed è un peccato considerando che, accanto ai vitalizi, parliamo di un altro scandalo del sistema Italia. Per capirci ricordiamo soltanto il caso super-pensionato d’oro, ex manager Telecom, che ogni mese porta a casa 91.337 euro.

Dl immigrazione. Salvini può esultare. Altra importante vittoria (anche se a metà) è quella sull’immigrazione. Piaccia o non piaccia, alla fine i Cinque stelle hanno tenuto e cinque dissidenti non possono, numericamente, rappresentare una fronda. Specie se si considera che parliamo di un tema presente nel contratto di Governo e, cosa non secondaria, nello stesso programma di Governo, come sottolineato ieri a La Notizia dal senatore M5s Ettore Licheri. Ora si vedrà se alla Camera la strada sarà problematica o meno. Certo è che la Lega ha messo a segno un bel colpo nella lotta all’immigrazione clandestina con un decreto che, non a caso, porta il nome di Matteo Salvini.

Legittima difesa. Occhio alle fronde. Tema connesso alla sicurezza (e squisitamente leghista) è quello relativo alla legittima difesa. Tutti ricordano la “promessa” sottoscritta dallo stesso Salvini con i comitati pro-armi. Il prodotto, alla fine, è una legge ancora più permissiva rispetto al resto d’Europa. Per ora il disegno di legge – tra malumori degli stessi pentastellati – è passato al Senato e arriverà alla Camera nei prossimi giorni. Dicono i ben informati che potrebbe essere un altro fronte aperto: alcuni parlamentari M5S vorrebbero rivedere la norma in senso migliorativo, ma Salvini sa che questo non solo significherebbe allungare i tempi (poi il testo dovrebbe tornare al Senato), ma significherebbe mancare le promesse fatte a suo tempo in campagna elettorale al popolo con pistole e fucili, oltreché a esercenti impauriti dalle continue scorribande di ladri e rapinatori.

Direttori di Rete Rai. Tutto in alto mare. C’è un tema su cui dai Cinque stelle e dalla Lega ci si sarebbe aspettato certamente maggiore chiarezza e un cambio di passo rispetto al passato. Parliamo delle nomine Rai. Dopo tempi lunghissimi prima della scelta dei direttori dei Tg, per la prima volta nella storia di Viale Mazzini, le nomine dei direttori di Rete sono state rinviate a data da destinarsi. I più ottimisti dicono che entro novembre arriveranno le soluzioni, i meno ottimisti parlano di inizio 2019 (il che sarebbe uno scandalo bello e buono). L’impressione, anche a sentire alcune fonti interne alla Rai, è che tutto si muova secondo una logica spartitoria e partitica. La stessa che tanto la Lega quanto soprattutto il Movimento, hanno sempre criticato.

Addio Jobs Act. Già questo è un bene. Tema vincente, almeno nelle premesse, è quello delle misure occupazionali, contenute in un altro importante decreto – il primo del Governo – e che non a caso porta la firma di Luigi Di Maio. Parliamo del decreto Dignità. Nome più spettacolare che altro. Ma le misure sono oculate: dallo stop ai finanziamenti per chi delocalizza fino al tetto per i contratti a tempo determinato. Misure che, di fatto, danno rilievo e priorità ai lavoratori. Solo il tempo ci dirà quali saranno gli effetti: se, come spera il Governo, questa sistema porterà a un incremento dei posti di lavoro, oppure se le aziende, spaventate, finiranno col non assumere, né a tempo determinato né indeterminato. C’è però un fatto ineludibile: il dl Dignità segna il superamento del Jobs Act che, al di là dei risultati (catastrofici), era l’emblema di tutto ciò che non avrebbe dovuto mai essere la sinistra.

Cultura e istruzione. La strada è lunga. L’ultimo capitolo di questo nostro lungo viaggio nel fact-checking governativo è quello relativo a cultura e istruzione. Temi delicati su cui i gialloverdi sono chiamati, dovendo fronteggiarsi con un ambito (la cultura) su cui il predecessore, Dario Franceschini, non si è comportato assolutamente male (come riconosciuto anche dal ministro Alberto Bonsioli); e un altro (istruzione) che, probabilmente, è stato il più disastroso – insieme al Jobs Act – del periodo renziano. Per ora, al di là degli annunci, poco è stato fatto. Bene i colpi d’accetta alla Buona scuola, ma occorrono più finanziamenti (che invece per ora latitano). E anche sulle nomine c’è molto da migliorare. L’esempio di Roberto Battiston, sollevato dal suo incarico di direttore dell’Agenzia Spaziale Italiana, è un esempio eclatante: nel merito, mai decisione fu più saggia (come raccontato anche da La Notizia pochi giorni fa); nella forma la scelta d’imperio del ministro Marco Bussetti, non comunicata neanche al suo vice (Lorenzo Fioramonti), rivela un sistema non proprio funzionante.