Falsi fascismi al Salone del Libro. Dopo il boicottaggio di Zerocalcare e Wu Ming. Croppi: “Ma quale cultura, queste sono cose mai viste”

Intervista all'intellettuale e saggista Umberto Croppi

Una fuga di così tanti intellettuali e sedicenti tali non si era mai vista. Dopo la rinuncia del collettivo Wu Ming, delle dimissioni dal comitato direttivo di Christian Raimo, della casa editrice People e dello scrittore Carlo Ginzburg, pure il fumettista Zerocalcare ha mollato il Salone del Libro di Torino, che partirà domani. Defezioni a catena e polemiche scatenate dalla presenza alla fiera dello stand di Altaforte Edizioni, la Casa editrice vicina a Casapound, il cui direttore è Francesco Polacchi, aderente al movimento di estrema destra, appunto, dal 2004, e che ha prodotto l’ultimo libro di Matteo Salvini, Io sono Matteo Salvini, intervista allo specchio. “Tanto è bastato per esasperare gli animi e far espodere una bagarre che non si era mai vista negli ultimi 70 anni della nostra repubblica”. Non ha dubbi Umberto Croppi, intellettuale molto stimato a destra e assessore alla Cultura di Roma Capitale nella Giunta di Alemanno.

Professore si possono contrastare le ideologie antidemocratiche con questi comportamenti?
Assolutamente no. Anzi, così si fa solo confusione. Sugli stand di destra e sinistra o sui titoli dei testi un tempo nessuno si scandalizzava, eppure ci sono sempre stati. Ora invece si stanno superando i limiti. E poi i libri sono libri, la politica non c’entra niente e ce la vogliono mettere in mezzo a tutti i costi.

Potrebbe essere un modo per attirare attenzione?
E’ solo un modo per esasperare i concetti e alzare i toni. Di certo non è questo l’antidoto migliore per raggiungere gli obiettivi. Si sta creando un terrore del fascimo con argomenti esagerati. è tutto talmente esasperato da sembrare falso. Basti pensare che neanche quando il fascismo c’era davvero si era creato questo clima. Queste sono schermaglie tipiche di un Paese che ormai vive di gesti plateali, ma così non si vince. E la scelta di ritrarsi, di lasciare il campo, non è sicuramente una condotta molto democratica. Manifestare la propria militanza prendendo le distanze da un evento del genere è assurdo.

In un’epoca culturale come questa sono ancora importanti queste manifestazioni?
Certo, perché sono le poche occasioni di conoscenze tra gli operatori del settore. E poi così si avvicina il pubblico, anche lo zoccolo più duro, alla lettura.

E a proposito di libri, come sta la cultura nel nostro Paese?
Stiamo messi malissimo, perché ci sono pochi investimenti su istruzione e ricerca. Non c’è proprio produzione di cultura. Sembra un settore che non interessa a nessuno. Stiamo così da anni.

Gli ultimi dati Ocse dicono che sono sempre meno gli italiani che sanno leggere e addirittura scrivere. Lei che ne pensa?
In Italia, purtroppo, si sono sempre letti pochi libri, quindi questi dati non mi meravigliano. Non c’è mai stato per così dire un “Romanzo popolare” da noi, però va anche detto che non c’è una graduale regressione. Cioè il livello, molto basso si è stabilizzato. E poi è vero pure che ormai la lettura si è spostata su altri mezzi e questo cambia addirittura le regole di scrittura.