Giustizia è fatta. Da Conte e Bonafede bacioni al Capitano. Processi in quattro anni. Sorteggio per il Csm

Fuori la Lega, dentro il Pd. E in un amen, la riforma della giustizia, bloccata dal fuoco (ex) amico del Carroccio, esce dalle secche. E bastato un vertice a Palazzo Chigi, tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, il sottosegretario, Andrea Giorgis, e il vicesegretario Pd, Andrea Orlando, per liberare il testo che rimette mano alla durata dei processi (ma non solo) dalle sabbie mobili. Oltre due ore di incontro per rimettere la riforma sui binari che dovrebbe condurla a destinazione: il via libera entro la fine dell’anno.

AVANTI TUTTA. Il disegno di legge Bonafede, approvato salvo intese – e solo in alcune parti – dall’Esecutivo gialloverde finirà archivio. Ma la nuova maggioranza giallorossa ne “condivide i principali obiettivi”. Uno su tutti: “rivoluzionare” il sistema giustizia. L’accordo raggiunto ieri tra M5S e Pd dinanzi a Conte sarà presto nero su bianco in una legge delega che il Guardasigilli confida di approvare entro il 31 dicembre. “Sono molto soddisfatto, stiamo rivoluzionando la giustizia italiana – esulta il Guardasigilli -. Il principale obiettivo è quello di ridurre i tempi della giustizia civile e penale, dimezzandoli e arrivando a quattro anni per il processo penale, mentre per il processo civile si arriverà a una media di quattro anni”.

Gli fa eco il suo predecessore a Via Arenula. “Siamo d’accordo sull’impianto e abbiamo approfondito gli strumenti per raggiungere l’obiettivo un netto miglioramento dei tempi del processo, sia civile che penale, anche con certezza dei tempi”, conferma Orlando. Certo, restano ancora alcuni nodi da sciogliere. A cominciare dalla riforma del Consiglio superiore della magistratura. Cinque Stelle e Partito democratico concordano sulla necessità di “una radicale riforma” dell’organo di autogoverno dei magistrati, spezzando i legami tra politica e magistratura all’origine delle “degenerazioni del correntismo”.

E si fa largo l’ipotesi di spacchettare la riforma in due deleghe: una sul processo civile e l’altra su quello penale. Inserendo in quest’ultima anche la nuova disciplina del Csm, sulla quale restano le distanze sulle modalità di elezione dei suoi componenti. “Il sorteggio è l’unico punto di divergenza che dovrà essere approfondito”, ammette Bonafede. Non è un mistero, del resto, che Orlando non condividesse la scelta: “Scegliere i componenti del Csm con la tombola non mi pare un’idea particolarmente brillante – aveva twittato l’ex guardasigilli -. Bisognerebbe piuttosto regolare meglio quello che fa il consiglio”.

E pure il vicepresidente del Csm, David Ermini, eletto in quota Renzi, non risparmia critiche: “Ribadisco la mia contrarietà, perché il Consiglio rischierebbe di uscirne azzerato nella sua natura di organo di rappresentanza del pluralismo e ridotto a entità meramente burocratica ed esecutiva – avverte -. Tendo a diffidare di riforme giustificate e ispirate alla sola intenzione di contrastare la ‘politicizzazione’ del Csm”. Altra questione riguarda lo stop della prescrizione che, da inizio 2020, in base al ddl Spazzacorrotti, si bloccherà dopo il primo grado di giudizio. Bonafede non lascia spazio a ritocchi: “Non c’è tra gli obiettivi (del Governo, ndr) quello di modificare la disciplina della prescrizione”. Ma tra i dem i dubbi non mancano: “Una norma che di fatto elimini l’istituto, può essere valutata solo se i tempi del processo fossero diversi e radicalmente più brevi. Il Pd non può assumere impegni al buio”.