La casta parla di riforme, ma agli italiani interessa solo il lavoro

di Lapo Mazzei

La politica del fare, se adottata come strategia portante della propria azione di governo, ha le sue regole. Non scritte, ma codificate dalla consuetudine e dalla tradizione, dalle quali non puoi prescindere. Anche se ti chiami Enrico Letta. Perché il presidente del Consiglio, nella foga di mettere sul tavolo fatti e non parole, deve essersene dimenticato. O, quantomeno, devi essersi distratto nel momento in cui ha tracciato la linea da seguire, non accorgendosi che occorre un righello graduato per disegnare una riga dritta. Per questa ragione il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha provveduto a rimediare all’errore. Se scegli quella tattica devi anche stabilire cosa, e in quanto tempo, vuoi fare. E così quello che a prima molti osservatori hanno frettolosamente rubricato come l’ennesimo “pressing” del presidente della Repubblica nei confronti dell’esecutivo, in realtà è una correzione di rotta in materia d di riforme istituzionali, che vanno dalla legge elettorale alla riscrittura di una parte della Costituzione. Certo, dopo il monito di domenica circa la durata del governo di intese, che va considerato a termine e che i 18 mesi indicati dal presidente del Consiglio sono un tempo “appropriato” per realizzare le riforme, l’intervento di ieri è apparso un ulteriore cartellino giallo. Ma, in realtà, non è proprio così.

Incontro al vertice

Napolitano, ieri, ha ricevuto Quirinale il premier Letta, il suo vice Angelino Alfano, il ministro per le Riforme costituzionali Gaetano Quagliariello, e il ministro per i Rapporti con il Parlamento e coordinamento attività di Governo, Dario Franceschini, per mettere a punto il percorso e le modalità per raggiungere l’obiettivo delle riforme. Insomma, ha fornito loro il manuale d’istruzione per usare il “balocco” della politica del fare. Che non è mai semplice da realizzare. L’intenzione del governo, ribadita anche nell’incontro al Colle, è quella di andare rapidamente avanti sulla strada delle riforme Costituzionali. L’intenzione è quella di presentare il testo già la prossima settimana al Cdm. Nel vertice i partecipanti avrebbero anche accennato alla consultazione popolare che l’esevutivo vorrebbe realizzare, ritenendola obbligatoria, ed al comitato dei “saggi” che l’Esecutivo nominerà per avere una consulenza di tecnici esperti. Gli esperti saranno 25 e fra loro, se ne sarebbe parlato anche al Quirinale, ci sarebbero i saggi della commissione Napolitano che non hanno avuto incarichi di governo, come Valerio Onida e Giovanni Pitruzzella, ma anche l’ex presidente della Camera, Luciano Violante, Giuseppe de Vergottini, Stefano Ceccanti, Nicolò Zanon .

Il sentiero del cambiamento

Il sentiero che porta alle riforme sembra essersi fatto però ancora più accidentato dopo l’apertura di Letta al presidenzialismo. Se dal Pdl, infatti, sono arrivati infatti consensi entusiasti, il tema si sta rivelando l’ennesimo motivo di profonde lacerazioni all’interno di un Pd senza pace. Contrari all’ipotesi di semipresidenzialismo sono l’ex segretario Bersani, Rosi Bindi e il “giovane turco” Matteo Orfini. Posizioni che si confronteranno duramente nella direzione di partito convocata per questo pomeriggio. Battaglia, quella sulle proposte di riforma costituzionale, che si intreccerà con quella per la segreteria e sulla convocazione del congresso. Nonostante le spinte contrarie, l’assise dovrebbe svolgersi entro l’anno. Epifani oggi lo ribadirà, proponendo nuove regole: prima un dibattito nei circoli solo sui contenuti e poi la scelta del leader. Resta un dato di fatto, però. L’attivismo del capo dello Stato rappresenta già una sorta di prova generale di quello che sarebbe la Repubblica presidenziale in salsa italiana. Prove tecniche che necessitano di una forte azione di governo che, al momento, resta incerta e claudicante. Come dimostra il lungo processo di superamento del Porcellum, dal momento che allo stato attuale i partiti non sembrano avere ancora una idea pienamente condivisa sulla direzione da prendere per la nuova legge elettorale. Sullo sfondo di questo scenario, poi, si agita un altro fantasma. Ma davvero agli italiani interessano tanto le riforme istituzionali? Secondo un sondaggio realizzato dalla Digis (pubblicato dal quotidiano on line Il Retroscena.it ) il 56% degli italiani è contrario all’elezione diretta del capo dello Stato. Per il 30%, poi, la vera emergenza è defiscalizzare subito le assunzioni e solo il 16% chiede tasse più basse. Altro che saggi e grandi manovre attorno alla Carta, il lavoro la vera emergenza e la priorità per il governo dovrebbe essere un provvedimento di natura economica come “l’aumento dell’occupazione attraverso politiche di defiscalizzazione delle assunzioni”, tema che già in campagna elettorale era stato peraltro ampiamente affrontato. Ma che sembra essere sparito dall’agenda di Palazzo Chigi.