La redenzione del santo kamikaze. L’Occidente alla sbarra nel saggio di Debray. Abbiamo dimenticato il Sacro, i terroristi invece no

Bersaglio legittimo delle nostre risposte armate e delle ormai capillari cinturazioni urbane anticrimine, pure il terrorismo suscita in noi un esame di coscienza, un parallelismo culturale inaggirabile, si oserebbe dire: una nostalgia concettuale che, dentro un seppur piccolo ripostiglio della nostra anima collettiva, albeggia, si effonde, incuriosisce. Il kamikaze che si fa esplodere in un luogo di convivialità occidentale, che brandisce la sua spada contro un Nemico, che agogna una Liberazione, terrena o celeste, che si schiera, si spende, si immola, si aggrega, combatte e perisce insieme all’“impuro” che farebbe (il condizionale è d’obbligo) da ostacolo al cammino della Storia, da macchia della Redenzione, da filtro opaco all’irradiarsi della Verità, è colui che ancora crede in una dimensione sacra dell’esistenza, simbolica e rimembrante, solida e securizzante, che noi, gente dell’Ovest, tutta carta di credito e reality show, fast food e new age, abbiamo del tutto smarrito nei ruzzoloni consensual-consumistici degli ultimi decenni.

Ne è convinto Régis Debray, grande intellettuale francese “sovversivo”, in questo ennesimo libello che infilza i nostri cuori marci di benessere asimmetrico e tracotanza espansionista, dal titolo più che mai esplicativo: Fenomenologia del terrore (Mimesis, pagg. 71, euro 8). “Ci sono rimasti solo i paradisi fiscali e il Club Med, una modesta consolazione – spiega il filosofo -. Risultato: mai l’azione pubblica è stata meno focalizzata sull’eventuale di quanto lo sia oggi; né le ‘lotte finali’, in terra come in cielo, sono state meno all’ordine del giorno”. La nostra civiltà, insomma, avrebbe lentamente edulcorato e frainteso, fino alla nebulizzazione completa, tutte le narrazioni universalizzanti che l’hanno caratterizzata nei secoli.

Dal Cristianesimo, ridotto ormai a “un’etica per comportarsi meglio e migliorare la vita in comune”, ma senza un vero culto dell’Eterno, fino agli “ismi” dell’8-900, come il Progressismo e lo Scientismo, o il Socialismo, che hanno sostituito l’aldilà con l’oltre, laico e temporale, ma dimostrando altresì che dove c’è miglioramento conoscitivo e tecnologico possono esserci anche le bombe atomiche, i diserbanti e le discariche sotto casa, e dove c’è anelito di giustizia, anche lager, cieche ideologie e logiche di casta. Cosa ci rimane allora? Un “presentismo” che dimentica la morte, non si concede interiorità, sprofonda nel chiasso, non coglie speranze e scricchiola su ogni lunga gittata, vede nel botox il suo Avvento e nella malattia non anticamera della fine e preghiera di salvezza, ma occasionale impaccio a una salute presunta inattaccabile. Questo buco nero del “noi” sarà bozza del futuro o cosmo ingoiato per sempre?