Le chiamano tradizioni, sembrano un film horror. Dopo la pandemia i mercati di animali vivi in Cina vanno ripensati

Non mi sono mai piaciute alcune usanze cinesi, in Cina le chiamerebbero “tradizioni”. Le trovo brutali, incivili e pericolose. I mercati di animali vivi, compresi cani e gatti, che i cinesi trattano in modo spietato per poi ucciderli e cibarsene, non dovrebbero esistere nella civiltà contemporanea ma la comunità internazionale li accetta senza gridare allo scandalo e senza aver mai preso una posizione netta al riguardo. Eppure oggi, alla luce della drammatica pandemia da coronavirus, qualcosa dovrebbe cambiare. A partire, prima di tutto, dalla riconsiderazione dell’appartenenza della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio. Andiamo per ordine.

Il Festival di Yulin, festa horror raccapricciante, le cui immagini sono strazianti e insopportabili da vedere tanta è la sofferenza e la violenza che raccontano, nel ventunesimo secolo non dovrebbe più avere luogo. Il Dog meat Festival, che incredibilmente si svolgerà anche quest’anno, e’ invece una ricorrenza fissa, durante la quale migliaia e migliaia di cani vengono trucidati. Si tratta di animali domestici rubati, cani da guardia delle famiglie rurali o trovatelli. Questa macabra festa comporta la macellazione annua di oltre diecimila cani, che prima di morire vengono tenuti in condizioni igienico-sanitarie raccapriccianti e sottoposti a vere e proprie torture. Di frequente si tratta di animali malati, che possono essere portatori di malattie contagiose, cani avvelenati e morenti, che sono stati sottoposti a lunghi viaggi in condizioni orrende, senza acqua né cibo.

Un festival della disumanità che, oltre a consistere in terribili sevizie a queste povere bestiole, rappresenta un rischio enorme per la salute pubblica. Anche a Wuhan c’è un mercato di animali, su cui i riflettori si sono accesi proprio in seguito alla diffusione del coronavirus e dove anche i pipistrelli, da cui avrebbe avuto origine la pandemia che ci costringe a casa, vengono venduti come merce commestibile. Nei mercati cinesi gli animali vivono quel poco di vita che rimane loro ammassati in gabbie arrugginite, sporchi e sanguinanti, a volte manca loro un arto oppure hanno ferite aperte provocate dalla cattura o dal trasporto. I commercianti trattano le loro gabbie come pacchi quando le caricano e scaricano e ovviamente gli animali ne soffrono molto. Non si sa quanti mercati di violenza esistano in Cina, gli esperti stimano che ve ne siano a centinaia.

Molti animali selvatici vengono cacciati di frodo, importati in modo illegale per diventare cibo, medicine, trofei. Anche la medicina tradizionale cinese, basata sulla credenza nei poteri di guarigione di alcune parti di animali, è un potente motore di questo commercio, rafforzato dal fatto che il Governo consenta l’allevamento e la vendita per il consumo di 54 specie selvatiche. Questi mercati vanno chiusi, per la violenza che infliggono sugli animali e per la salute di tutti noi, e’ fin troppo evidente che favoriscano la diffusione di virus e il loro passaggio dall’animale all’uomo. La maggior parte delle malattie zoonotiche – quelle che si trasmettono da animale a uomo – hanno origine nella fauna selvatica. HIV, Ebola e SARS sono solo alcuni dei virus che hanno fatto il “salto” dagli animali all’uomo, generando epidemie di portata internazionale. Nei mercati di fauna selvatica della Cina e del sud-est asiatico si possono trovare specie diverse ammassate le une alle altre. La miscela di sangue e secrezioni corporee consente lo scambio di virus e la potenziale creazione di nuovi ceppi.

Dopo una chiusura temporanea i cinesi hanno già riaperto questi mercati e ciò ha davvero dell’incredibile. Durante il picco della pandemia, infatti, il consumo di questo tipo di animali era stato sospeso, ma dismessi guanti e mascherine cani, gatti, conigli, anatre, serpenti e pipistrelli, messi sotto accusa come l’origine del covid-19, sono tornati a essere scuoiati vivi sui pavimenti bagnati di sangue, sporcizia e resti di carcasse. Stante questa situazione, dopo la Sars e l’attuale pandemia, chi ci dice che tra qualche anno non avremo a che fare con l’ennesimo virus letale con cui combattere per la nostra vita e quella dei nostri cari? La comunità internazionale ha il dovere di imporre alla Cina la chiusura dei mercati di animali poiché mettono a repentaglio la salute del pianeta e sono un’usanza barbara inaccettabile.

Un divieto incontrerebbe, certo, l’opposizione dei soggetti che hanno interessi economici nel settore e va considerato che sarebbe efficace solo se venisse accettato dalla popolazione. Ma mai come oggi i cinesi dovrebbero rendersi conto che quei mercati sono fonte di morte. E se la Cina si rifiutasse, comunque, di chiuderli? Andrebbe fatta fuori dal WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, e perciò dagli accordi commerciali internazionali per non essersi allineata agli standard igienico-sanitari osservati dagli altri Paesi membri. Parallelamente, dovremmo richiedere il risarcimento dei danni subiti, economici e morali. Non possiamo più permettere che le nostre vite vengano stravolte, che ci vengano rubate le giornate, che le nostre economie vengano messe in ginocchio dalla Cina, da cui non abbiamo mai importato ricchezza ma solo danni!

L’autrice è Senatrice della Repubblica (FI)