L’Italia del No. Un lusso che non possiamo permetterci

direttorepeddi Gaetano Pedullà

Moriremo di fame. Con un bel codice in mano, ma morti di fame. Grazie a una Babele di leggi “vecchie come il Cucco” che in punta di diritto paralizzano decine di cantieri, grandi opere pubbliche così come piccole e medie iniziative private. Il dato tirato fuori dal nostro Andrea Koveos nell’inchiesta che pubblichiamo alle pagine due e tre è inquietante. In un Paese dove non si muove un soldo, c’è una montagna di euro parcheggiata – o forse nascosta – in chissà quali cassetti. Fondi stanziati e deliberati dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, che non si spendono per i contenziosi più disparati. Oppure per vincoli ambientali o, peggio, burocratici. Oppure ci sono altri quattrini, moltissimi, messi a bilancio da Comuni ed altri enti locali, bloccati per i vincoli del Patto di Stabilità. Una delle leggi di controllo della spesa pubblica che ha creato i più devastanti effetti distruttivi sulla nostra economia. Siamo un Paese che non percepisce, anche nella sensibilità dei legislatori e delle sue magistrature, la gravità del momento che viviamo. Ieri i costruttori hanno diffuso un dato da resa incondizionata: il mercato del mattone è allo sbando. Hanno chiuso centinaia di imprese e sono andati a casa migliaia di lavoratori, senza contare l’indotto e l’industria dell’arredamento (se non si costruiscono case nuove non c’è bisogno di arredarle). Oggi non c’è opera pubblica che non si confronti con gli ostacoli più impensabili. Ricorsi ai Tribunali amministrativi, controricorsi al Consiglio di Stato, veti di ogni genere. E’ il trionfo dell’Italia del no. Un’Italia che non vuole la Tav, che non vuole il Ponte di Messina, che non vuole l’energia eolica (vedere il servizio della nostra Appignani a pag. 10). Questi veti non sono gratis. E non fanno dell’Italia un Paese migliore.