Obbligo di dimora e divieto di espatrio per Carminati. L’ex Nar scarcerato ieri per decorrenza dei termini non potrà lasciare Sacrofano

La Procura generale della Corte d’Appello di Roma, in seguito alla scarcerazione, avvenuta ieri per decorrenza dei termini di custodia cautelare, ha disposto l’obbligo di dimora e il divieto di espatrio per Massimo Carminati. L’ex Nar non potrà, dunque, spostarsi da Sacrofano, il comune della provincia di Roma dove risiede. L’obbligo di dimora sarebbe stato disposto anche sulla scorta dei precedenti giudiziari dell’ex terrorista, tra i quali il conflitto a fuoco con la Polizia, a Varese nel 1981, durante il quale perse l’occhio mentre tentava di fuggire all’estero.

Nel provvedimento i giudici della Corte d’Appello motivano che “sussiste il concreto pericolo di fuga” e che “il giudizio di rinvio a carico di Carminati deve essere ancora celebrato e considerati i gravi reati di cui è chiamato a rispondere, i precedenti penali dello stesso e il tentativo già posto in essere in passato di fuggire all’estero per sottrarsi alla cattura, occasione nella quale venne gravemente ferito”. A tal fine “possono trovare applicazione le misure il coercitive richiesta della procura generale”.

Il Cecato è tornato in libertà ieri dopo che il Tribunale della Libertà ha pienamente accolto l’istanza di scarcerazione, per scadenza dei termini di custodia cautelare, presentata dagli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri. Non si può di certo dire che quella dei magistrati sia stata una decisione inattesa perché proprio il verdetto dei giudici ermellini, con cui il 22 ottobre scorso è caduta l’accusa di associazione mafiosa ed è stato disposto un processo bis per il solo ricalcolo della pena per gli imputati a cui era contestata, le condizioni per la detenzione dell’ex Nar erano ormai venute meno.

Una discussa scarcerazione su cui, anche il guardasigilli Alfonso Bonafede vuole vederci chiaro, tanto da aver già delegato l’ispettorato generale del ministero al fine di svolgere “i necessari accertamenti preliminari” con cui capire come siano andate le cose. Quel che è certo è che a rendere inevitabile la scarcerazione dell’ex estremista nero, un tempo definito il quinto re di Roma, per i giudici del Tribunale della Libertà è stata la constatazione che “il termine complessivo massimo di custodia cautelare è scaduto”. Questo perché, spiegano dal Riesame, con “il rinvio disposto dalla Suprema Corte di Cassazione per la rideterminazione della pena, anche in considerazione della esclusione dell’aggravante ad effetto speciale, originariamente contestata in relazione ai due reati di corruzione, di cui all’articolo 416 bis impedisce di ritenere irrevocabile la statuizione”.

In ragione della sentenza di terzo grado, “la detenzione dell’imputato deve essere considerata custodia cautelare e non come esecuzione dì pena definitiva” in attesa che questa venga definita dai giudici dell’appello. Condanna che verosimilmente verrà rivista pesantemente al ribasso rispetto ai 14 anni e sei mesi inflitti precedentemente perché, com’è noto, è venuta a cadere l’accusa più grave ossia quella di aver fatto parte di un’associazione mafiosa. Un fatto tutt’altro che secondario perché significherebbe che Carminati, dopo aver già scontato 5 anni e 7 mesi di reclusione, 4 dei quali al 41 bis, si troverebbe già oltre la metà della condanna che gli potrebbe venir inflitta.