Recovery Fund. L’Italia incasserà dall’Ue più di quanto versato. Al nostro Paese spettano 172 miliardi. Per la prima volta il saldo sarà attivo

L’Unione europea ha risposto alla chiamata: il denaro arriverà. I 750 miliardi messi sul piatto dalla Commissione europea sono un impegno importante per la ripresa, che si vanno ad aggiungere ai 540 miliardi spalmati tra Mes, Sure e Bei, già approvati dal Consiglio europeo, e al nuovo Quantitative easing della Bce (che ha già comprato 25 miliardi di titoli del debito pubblico italiano). E la cosa più importante è che il Next Generation Eu, il nuovo strumento presentato mercoledì da Ursula von der Leyen, prevede ben 500 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto, mentre i restanti 250 di prestiti sarebbero comunque da restituire in un lasso temporale lunghissimo (si parla addirittura entro il 2058).

Per l’Italia la quota parte prevista è la più consistente, 90 miliardi di prestiti e quasi 82 di sovvenzioni: ovviamente da questi ultimi va detratto il contribuito aggiuntivo che daremo alla Ue e quindi rimarrà una cifra che si aggira fra i 25 e i 30 miliardi. In ogni caso il nostro Paese riceverà più soldi di quanti ne versa per il funzionamento dell’Unione, mentre finora è sempre stato un contributore netto, cioè ha versato più di quanto ricevuto. Questo sarà possibile perché con l’articolato sistema di aiuti e prestiti che la Commissione ha intenzione di mettere in piedi, l’Italia tornerà a incassare dall’Ue più di quanto pagherà sotto forma di contributi al bilancio comune. Anche di questo, del finanziamento del Quadro finanziario pluriennale 2021-27 a cui il Recovery fund, è agganciato, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha discusso ieri mattina in un colloquio telefonico con la von der Leyen: il piano della presidente dell’esecutivo europeo prevede che non vi sia un immediato bisogno di metter risorse proprie aggiuntive nel budget pluriennale e che la restituzione dei fondi avvenga soltanto dopo il 2027.

La carta che infatti la Commissione vuole giocare è quella di aumentare l’indipendenza finanziaria del bilancio comune rispetto ai contributi che arrivano dagli Stati membri e per farlo ha indicato alcuni canali per rimpolpare le “risorse proprie”, dall’introduzione della digital tax alla tassazione sulle emissioni inquinanti. Ed è proprio sul bilancio comune “potenziato” che si costruirà la capacità di restituzione dei prestiti che la Commissione chiederà al mercato. La pietra angolare sono dunque le nuove risorse per l’Unione europea, sulle quali serve però un accordo politico e per l’Italia si apre ora la strada di un negoziato in vista del Consiglio del 17 e 18 giugno, con i Paesi cosiddetti “frugali” – Olanda in testa – che vogliono ridimensionare l’entità dei finanziamenti a fondo perduto. Le cifre prospettate dalla Commissione vanno quindi trasformate in numeri veri a seguito di confronti e trattative.

A tal proposito si è mostrato cautamente ottimista ieri il commissario agli affari economici Paolo Gentiloni, affermando che “i Paesi frugali non hanno detto un no che abbia il sapore di una porta in faccia. La loro posizione è quella di chi si prepara a una trattativa che, in ogni caso, si chiuderà positivamente”. La seconda considerazione da fare è sulla tempistica: si parla di un contributo che arriverà dall’anno prossimo. E poi c’è la questione del Patto di stabilità che è sospeso, ma se dovesse essere riattivato prima dell’erogazione dei fondi la situazione si complicherebbe ulteriormente. Un altro apsetto su cui tenere alta la guardia.