Scotta il telefono di babbo Renzi. Era intestato a un extracomunitario. Tiziano è indagato per traffico di influenze illecite. Ma sul caso l’uomo si difende: “Sono tutte invenzioni”

Sembra non esserci pace per Tiziano Renzi. L’ultima rogna è quella raccontata dal Corriere Fiorentino secondo cui un telefonino sequestrato al padre dell’ex premier Matteo Renzi risulterebbe intestato ad un extracomunitario. Di per sé la notizia sembra di poco conto ma stando a quanto emerge, lo smartphone sarebbe finito nelle mani di babbo Renzi non prima del 18 febbraio scorso. Una data che a qualcuno può non dire nulla ma che corrisponde al giorno in cui l’uomo finiva ai domiciliari perché accusato di bancarotta fraudolenta. Insomma la faccenda raccontata dal quotidiano, se confermata, sarebbe davvero grossa perché significherebbe che Tiziano se ne sarebbe servito perché temeva di essere intercettato.

DIRITTO DI REPLICA. Tesi che l’indagato, finito al centro di una nuova inchiesta per traffico di influenze, ha subito respinto al mittente. “Ancora una volta leggo notizie false e gravemente diffamatorie. Non ho mai avuto telefoni intestati a extracomunitari” e “ho sempre consegnato alla procura tutti i miei telefoni, anche quelli non più in uso, oltre all’IPad e ai computer che aspetto mi vengano restituiti per recuperare le foto dei miei nipoti che sono l’unica cosa cui tengo. Non so cosa sia questo telefonino intestato a un extracomunitario. L’unica scheda telefonica straniera è una comprata a Medjugorie, da utilizzare nel corso dei frequenti pellegrinaggi e che peraltro non avevo mai usato” ha precisato il padre del leader di Italia Viva. Lo stesso ha poi annunciato querele “in sede penale e civile per l’ennesima fuga di notizie e per le false frasi diffamatorie riportate dagli organi di stampa in cui mi si accusa di voler sviare le intercettazioni e le indagini”.

L’INDAGINE. A prescindere dal caso del telefonino sospetto, resta il fatto che a Firenze è aperto un fascicolo in cui viene contestato al marito di Laura Bovoli il reato di traffico d’influenze. Un procedimento nato come logica conseguenza delle dichiarazioni rilasciate il 30 aprile 2018 dall’imprenditore Luigi Dagostino quando raccontò di un incontro fortuito con “il pm Antonio Savasta che si mise a parlare con me e mi disse che era interessato a presentare un disegno di legge in materia di rifiuti a Roma. Io ci pensai e siccome tramite Tiziano Renzi l’unico politico che avevo visto 3 o 4 volte era Luca Lotti (non indagato), all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, decisi che lo potevo portare da lui”. Peccato che Savasta, al tempo era titolare di un’indagine su false fatture in cui avrebbe dovuto indagare l’imprenditore ma che, invece, non fece nulla. Non solo. Qualche mese prima a Dagostino era stata sequestrata un’agenda in cui aveva annotato tutti i suoi incontri. E da questa era emerso che l’incontro con il magistrato avvenne davvero, il 17 giugno 2015, e che, come spiegato da Dagostino stesso ai pm, “fu fissato grazie all’intermediazione di Tiziano Renzi”.