Soldi per ammorbidire i politici. Alla sbarra il sistema Parnasi. Il costruttore romano è a processo con altre 9 persone. Tra loro spiccano il forzista Palozzi e il dem Civita

Pur di perseguire i propri scopi imprenditoriali ed evitare impedimenti burocratici, Luca Parnasi era disposto a tutto. Case, soldi e favori non erano altro che un modo per ingraziarsi la politica al fine di riuscire a realizzare, tra i tanti progetti, l’ormai famoso – e al momento incompiuto – Stadio della Roma. Un’inchiesta che ieri è arrivata per la prima volta in aula e in cui sono finiti alla sbarra, tra i tanti, l’ex vicepresidente del Consiglio della Regione Lazio di Forza Italia, Adriano Palozzi, il collega di partito Davide Bordoni, l’ex assessore regionale e attuale consigliere Pd, Pier Michele Civita, e del soprintendente ai Beni Culturali di Roma Francesco Prosperetti. L’inchiesta è quella sul cosiddetto “sistema Parnasi” portato alla luce dal lavoro del procuratore aggiunto Paolo Ielo e dei pubblici ministeri Barbara Zuin e Luigina Spinelli.

IL PROGETTO STADIO. Un’indagine nata per far luce su alcune vicende sospette legate alla realizzazione del nuovo Stadio della Roma e, atto dopo atto, intercettazione dopo intercettazione, allargatasi a macchia d’olio coinvolgendo numerosi progetti imprenditoriali cari al costruttore romano. La vicenda che causò il più classico terremoto giudiziario, risale al 13 giugno scorso quando Parnasi e altri indagati, tra cui cinque fedelissimi collaboratori, finivano in manette. Un blitz lampo che, dopo qualche giorno, portava rapidamente alla scarcerazione degli arrestati ad eccezione del costruttore che restava in cella perché per i magistrati stentava a collaborare. Ma qualcosa, col passare dei mesi, cambiava.

Un interrogatorio dopo l’altro, l’uomo finiva per crollare e vuotava il sacco sul sistema corruttivo da lui stesso ideato e gestito. Senza nessuna esitazione, raccontava di come non avesse badato a spese per oliare la macchina amministrativa al fine di superare eventuali intoppi burocratici, anche solo potenziali. Proprio per tenere aperta ogni porta su possibili business, tanto a destra quanto a sinistra, chiunque potesse tornargli utile veniva foraggiato con soldi o favori. Pagamenti che Parnasi si sentiva obbligato a fare perché: “Sono i politici a cercarti per essere finanziati, se non lo fai sei fuori dai giri che contano”.

L’ULTIMO ATTO. Nei mesi successivi, anziché sgonfiarsi, il caso giudiziario continuava a montare sempre più. Un buco nero in cui finivano diversi esponenti di spicco della politica capitolina. Tra loro anche l’ex assessore capitolino allo Sport, Daniele Frongia, archiviato nel volgere di nemmeno 48 ore perché risultato del tutto estraneo alla vicenda, l’ex presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito e l’amico avvocato Camillo Mezzacapo. Ma se per il primo le cose erano andate bene, per gli altri due non si può dire lo stesso. Infatti entrambi venivano arrestati e dopo mesi di lunghe e complesse indagini, dovranno rispondere di corruzione davanti al giudice del tribunale di Roma. Nei loro confronti, infatti, i magistrati di piazzale Clodio hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato che prenderà il via il prossimo 4 dicembre.

Ad inguaiarli, come spesso accade in vicende simili, sono state soprattutto le numerose intercettazioni, telefoniche e ambientali, finite agli atti dell’inchiesta. Una su tutte, quella del 4 febbraio 2019 che per gli inquirenti è la chiave dell’intero procedimento. In quell’occasione a parlare sono proprio i due imputati. Ma a prendere la parola per primo è il legale che spiega al vertice dell’aula Giulio Cesare: “Tieni presente questa cosa, la congiunzione astrale che si è verificata adesso non credo si riverificherà mai più”. Si tratta, per l’accusa, di un chiaro riferimento al fatto che il Movimento 5 Stelle, di cui De Vito faceva parte prima di essere allontanato per effetto dell’inchiesta, aveva conquistato sia il Campidoglio che il Governo nazionale. Insomma l’occasione d’oro che andava sfruttata per fare affari a palate.

Qualcosa a cui l’ex pentastellato, secondo quanto si legge negli atti a disposizione dei pubblici ministeri, sembrava piuttosto interessato. Talmente tanto che l’amico, letteralmente abbandonando ogni forma di precauzione e quindi senza giri di parole, lo esortava ad agire: “eh… questa congiunzione astrale è tipo l’allineamento con la cometa di Halley, hai capito? allora noi, Marcè, dobbiamo sfruttarla sta cosa!”. Congiunture che, però, sembrano aver portato sfortuna ai due imputati.