Società di vigilanza in mano ai privati c’è poco da star sicuri

di Valeria Di Corrado

Il raggiro va di moda in tutti i settori. Una società piena di debiti cambia nome, lascia alla vecchia sigla problemi e creditori, e riparte pulita a far affari. Nelle maglie del diritto societario e della giustizia italiana d’altronde ci passano i transatlantici. Ma c’è un settore dove questa pratica è diffusissima, nonostante a controllare siano niente di meno che le prefetture: la vigilanza privata. Una terra di nessuno, dove non si contano più le aziende accusate di evadere il fisco, non pagare l’Iva né i contributi Inps ai dipendenti.
E dire che i titolari delle imprese di security sono sempre gli stessi. E che per mantenere l’avviamento aziendale riescono quasi sempre a conservare anche il nome delle loro società, o quasi. Basta infatti aggiungere una parola o semplicemente un punto nella denominazione sociale per sembrare diversi quando in realtà si è gli stessi. Le Prefetture, che hanno l’incarico di rilasciare le licenze, incredibilmente non se ne accorgono, così come gli enti pubblici che assegnano le gare per i servizi di sicurezza. Unici ad accorgersene, sulla loro pelle, i dipendenti, licenziati spesso di punto in bianco con la scusa della crisi oppure costretti a passare da un istituto all’altro azzerando l’anzianità di servizio. La trasformazione delle società consente infatti a quelle “in salute” di beneficiare degli sgravi fiscali assumendo le guardie giurate messe in cassa integrazione dalle società “malate”.

L’ultimo caso è appena esploso a Roma, dove il Centro logistico sicurezza trasporto valori (Clstv srl) il 18 luglio 2012 ha ceduto un ramo d’azienda a una nuova società, la C.l.s.t.v. srl. Il passaggio di consegne è avvenuto dal padre al figlio, entrambi soci della vecchia e della nuova azienda. A differenziare la prima dalla seconda, i punti che separano le lettere dell’acronimo e il fatto che i crediti sono stati girati al cessionario, mentre i debiti (2 milioni 363 mila euro) sono rimasti lì dov’erano. Su questa vicenda il Savip (Sindacato autonomo vigilanza privata) ha presentato a gennaio un esposto alla Procura di Roma. Nel frattempo la C.l.s.t.v. srl potrebbe essere chiamata dinnanzi al Tar, dopo aver vinto un appalto dal Comune di Roma sulla base di un’offerta ritenuta dalla stessa amministrazione “anomala”. Tanto bassa cioè da non permettere di mantenere in regola i dipendenti.

Spostandosi a Napoli, lo scenario non cambia. La Vittoria srl, azienda specializzata nella vigilanza armata nel partenopeo, tre anni fa si è trasformata in La.Vittoria srl. La società “con il punto” ha lasciato di debiti alla società “senza punto”, continuando a utilizzare le stesse onde radio per svolgere l’identico servizio. Gli unici ad essere rottamati sono stati i 45 dipendenti. Ancora più difficile, poi, controllare gli istituti la cui proprietà si nasconde dietro un fondo chiuso, come nel caso dell’Axitea (ex Sicurglobal, a sua volta ex Mondial Pool). “I titolari delle aziende che si occupano di sicurezza dovrebbero essere riconducibili a persone ben identificabili – spiega Mario Vitale, amministratore delegato di Bsk Service – altrimenti potenzialmente ci si potrebbe trovare anche di fronte ad attività gestite da associazioni mafiose”. D’altronde il Nucleo di polizia tributaria di Torino lo scorso 26 luglio ha effettuato centinaia di perquisizioni in dieci regioni italiane nell’ambito di un’indagine su una serie di fallimenti societari di 14 istituti di vigilanza finalizzata a un’evasione fiscale calcolata in 15 milioni per mancato pagamento dell’Iva e 9 milioni di ritenute non versate all’Erario.

Forse dunque c’è anche questo dietro la proliferazione degli istituti di security in Italia. In tutto il territorio sono circa 950. A Roma, ad esempio, in tre anni sono più che raddoppiati, passando da 35 a 82. Circa 12.600 le guardie giurate impiegate nella Capitale, un quarto del totale nazionale. Ma a questo incremento dell’offerta non ha corrisposto maggiore sicurezza. Dal 2001 al 2012 nel Lazio sono stati rapinati dai portavalori 12.287.000 euro (un settimo del bottino racimolato in tutta Italia), 2.410.000 euro quelli recuperati in colpi sventati dai vigilantes.
Perciò il settore muove un giro d’affari che continua a crescere, attirando inevitabilmente gli interessi della criminalità organizzata. Molti istituti operano senza avere la certificazione antimafia, garanzia essenziale per svolgere un servizio di portavalori. Caso emblematico, nel Lazio, l’appalto assegnato dalla giunta Marrazzo e confermato da quella Polverini al gruppo Sipro, impiegato anche presso Equitalia e diversi ministeri. Il fondatore dell’azienda leader della security è imparentato con Vittorio Di Gangi, detto “er Nasca”, ritenuto vicino alla Banda della Magliana. Se questa è sicurezza…

Riceviamo da Sipro Sicurezza professionale e pubblichiamo. LINK

RETTIFICA

La scrivente Centro Logistico Sicurezza e Trasporto Valori S.r.l. chiede con la presente che, ai sensi della legge sulla stampa venga rettificato l’articolo “pubblicato da Redazione, il 06.03.2013, nella sezione inchieste, a proposito di raggiri, security”  con il quale riferendo circa la cessione di ramo d’azienda si evidenziava, in maniera surrettizia e non corretta, il comportamento della medesima qualificandolo come non adeguato al rispetto delle norme di legge. Tutto ciò in quanto la vostra testata ha dato credibilità a quanto riferito dal portavoce del Savip, informazioni e dati non veritieri; verso tali affermazioni sono già state adite le competenti sedi al fine della tutela dell’azienda. Tanto si precisa preannunciando azioni presso le opportune sedi a tutela della onorabilità dell’impresa.