Profughi ucraini Sì, afghani No. Dai sovranisti doppia morale pure sull’accoglienza. Salvini e Meloni vogliono spalancare le porte alle vittime di guerra. Ma soltanto a chi decidono loro

In imbarazzo per i bombardamenti del loro amico Putin, Giorgia Meloni e Matteo Salvini aprono ai profughi ucraini.

C’è chi scappa dall’orrore della Siria, che dura da ormai più di undici anni. Chi cerca di crearsi una nuova vita, lontano da una dittatura come quella in Eritrea. Ma anche chi abbandona l’Egitto, che non è certo un modello di democrazia, come hanno insegnato le vicenda di Patrick Zaki e, quella ancora più drammatica, di Giulio Regeni. Per non dimenticare chi si sottrae al giogo dei talebani in Afghanistan.

In imbarazzo per i bombardamenti del loro amico Putin, Meloni e Salvini aprono ai profughi ucraini

L’elenco di migranti, in fuga da bombe e dittature, è davvero lungo. Eppure di fronte a queste tragedie umane, e nel pieno del disastro della guerra in Ucraina, c’è chi ha trovato il modo di inventare la categoria dei “veri profughi”. Un mondo parallelo creato dalle destre, dalla premiata ditta Meloni & Salvini, che fino a qualche settimana fa litigava. Ma che quando si tratta di accogliere i profughi, dimostra tutta la scarsa sensibilità sul tema.

“L’Italia ha il dovere di spalancare le porte a chi scappa dalla guerra vera. Ai profughi veri”, ha affermato Matteo Salvini, parlando al Senato. “Spesso – ha aggiunto l’ex ministro dell’Interno – si parla di profughi finti che scappano da guerre finte, questi (gli ucraini, ndr) sono profughi veri in fuga da una guerra vera”. Si è spinta oltre Giorgia Meloni, nel suo intervento alla Camera, secondo cui bisogna “riconoscere lo status di rifugiato a chi fugge dall’Ucraina, madri e bambini che scappano davvero dalla guerra e, magari, approfittare, allo stesso tempo, per rimpatriare quelli che stanno qui, ma rifugiati non sono”.

La ricetta meloniana è quella di spalancare le braccia ai profughi in fuga della bombe russe

La ricetta meloniana è quindi di spalancare, giustamente, le braccia a chi scappa dalle bombe di Vladimir Putin, e mettere – inspiegabilmente – alle porta chi è già fuggito da altre bombe. Anche se, in alcuni casi, le bombe sono sempre le stesse. Quelle di Putin. Per capire la situazione sarebbe opportuno che la leader di Fratelli d’Italia, insieme all’alleato, o ex tale, si informassero meglio.

In Siria, tanto per fare un esempio, c’è una guerra iniziata nel marzo del 2011. Da allora non c’è nemmeno un bilancio esatto delle vittime. Secondo l’ultima stima delle Nazioni Unite, i morti sono stati almeno 350mila. Ma si tratta “sicuramente di una sottostima”, puntualizza l’Onu. Così come potrebbe essere un dato al ribasso quello degli oltre 6 milioni e mezzo di sfollati, scappati dalle bombe.

Molte delle quali sganciate proprio dagli aerei del presidente Putin, che ha fornito un ampio sostegno militare all’omologo siriano, il macellaio Bashar Assad. Questa alleanza, a cui si sono unite le milizie sciite degli iraniani e dei miliziani di Hezbollah, ha riconquistato praticamente tutto il Paese con ripetute violazioni dei diritti umani. Chissà se Meloni e Salvini avrebbero il coraggio di ripetere il concetto dei “profughi veri” di fronte ai 268 siriani arrivati in Italia dall’inizio del 2022, che si sono aggiunti ai 2.200 dello scorso anno.

Ci vorrebbe la stessa temerarietà per descrivere la categoria dei “profughi veri” ai 2.500 eritrei che hanno raggiunto l’Italia negli ultimi 14 mesi. In Eritrea effettivamente non c’è alcuna guerra, ma è in piedi uno dei regimi più violenti, guidato da Isaias Afewerki al potere dal 1993. La dittatura ha stremato la popolazione: secondo l’Unicef, almeno il 60 per cento dei bambini è malnutrito. E chissà quale status, secondo Salvini e Meloni, meritano i circa 4mila ivoriani giunti in Italia.

In Costa d’Avorio c’è stata per anni una guerra civile. Certo, non c’erano i bombardieri e i carri armati di Putin. Ma c’è stato qualcosa di altrettanto disumano: il fenomeno delle bambine-soldato. Anche dopo la fine del conflitto non sono mancati scontri e solo nel 2020 ulteriori tensioni avevano portato il Paese al collasso, sull’orlo di un’altra guerra civile. E che dire dell’Egitto di al-Sisi? Si parla di un Paese da cui sono arrivate 9.500 persone, in fuga da un governo che reprime ogni diritto. In Italia lo sappiamo bene.

Non serve soffermarsi molto su Iraq e Afghanistan, da cui anche sono arrivati (in totale) altri 2.500 migranti. A Baghdad la guerra non è mai finita, a Kabul è stata condotta e vinta dai talebani. Mentre giova rammentare che gli altri 2.500 migranti, provenienti dalla Guinea, sono sfuggiti a un sanguinoso golpe.

Ma che forse per Salvini e Meloni non rappresenta una guerra “abbastanza vera”. E la traduzione di tutto questo è affidata a Giuseppe Civati, ex deputato, oggi editore di People e autore di vari saggi: “Il razzismo è proprio questo, distinguere le persone anche nei momenti più drammatici delle loro vite. È indecente”.