L'Editoriale

Un’Italia sempre più isolata

L’autorevolezza, in Europa, si costruisce con l’affidabilità. Non con le uscite a effetto. E l'Italia di Meloni è sempre più isolata.

Un’Italia sempre più isolata

C’è un’Italia che continua a sedersi ai tavoli dell’Unione europea come se contasse per la sola ragione di esserci da sempre. È la stessa Italia che dimentica quanto, in un sistema basato su compromessi e credibilità, l’autorevolezza non sia un’eredità ma un capitale politico da costruire giorno dopo giorno. E oggi quel capitale è in fase di liquidazione.

Nel biennio 2024-2025 la posizione dell’Italia in Europa si è fatta via via più marginale. Ma non per un complotto delle cancellerie o per un supposto “asse franco-tedesco” che la escluderebbe a priori, quanto per una serie sistematica di scelte – e non scelte – che hanno scolorito l’immagine del nostro paese come partner affidabile. Dalla gestione ondivaga del Pnrr alla reticenza sulla ratifica del Mes, dall’ambiguità sull’aumento delle spese militari alla dissonanza diplomatica nei consessi multilaterali, l’Italia ha imboccato una traiettoria fatta di esitazioni, posture contraddittorie e politiche orientate più all’uso interno che alla costruzione di una linea europea coerente.

La distanza tra dichiarazioni e realtà

Il governo Meloni ha più volte rivendicato una posizione “costruttiva” e “pragmatica” in Europa. Ma alla prova dei fatti, ciò che Bruxelles vede è un Paese che rallenta l’attuazione del piano di ripresa, che propone proroghe non previste, che afferma di voler ridurre il debito ma rifiuta il coordinamento fiscale, e che si presenta con una voce politica spaccata su quasi ogni dossier rilevante. Il caso più eclatante è la riforma del Meccanismo europeo di stabilità: approvata da tutti i partner dell’eurozona, ma bloccata in Italia da un voto contrario dettato più da convenienze interne che da valutazioni tecniche. La conseguenza è un danno diretto alla credibilità finanziaria italiana, aggravato dalla consapevolezza – evidente a Bruxelles – che la coalizione di governo avrebbe i numeri per approvarla se lo volesse davvero. Invece la promessa non si è mai realizzata

Il “paradosso Meloni” è qui nella sua interezza: il tentativo di apparire responsabile agli occhi dell’Unione e allo stesso tempo accondiscendere alle pulsioni sovraniste di Salvini e al populismo di bassa lega della destra sociale. Una danza disordinata che produce immobilismo.

Una coalizione, tre politiche europee

Il quadro si complica ulteriormente se si osservano le fratture interne alla maggioranza. Fratelli d’Italia sogna di “cambiare l’Europa”, la Lega vuole uscirne mentalmente senza uscirne mai davvero, Forza Italia si aggrappa all’ombrello del Ppe. L’effetto è una rappresentanza politica tripolare che agisce all’estero senza una bussola comune. Il ministro Giorgetti chiede a Bruxelles più tempo e più flessibilità, salvo essere smentito dal commissario Fitto, suo connazionale. Tajani rassicura sulla lealtà atlantica, mentre Salvini si intrattiene con il vicepresidente Usa J.D. Vance auspicando una rottura degli equilibri esistenti. Nel frattempo, Meloni si presenta ai vertici con Macron e Scholz con ritrosia e atteggiamento da ospite scettico.

Questo disordine non è percepito come fisiologico da chi osserva l’Italia dall’esterno, ma come un difetto strutturale: il nostro Paese viene considerato oggi incapace di garantire una linea negoziale continua, e quindi poco utile per le trattative di medio-lungo termine. In un contesto in cui ogni compromesso richiede affidabilità, l’Italia si presenta come un attore inaffidabile, soggetto a continui cambi di posizione.

Un’occasione persa per la leadership mediterranea

La retorica della Meloni sul “protagonismo italiano” ha finito per produrre l’effetto opposto: non solo l’Italia non ha aumentato la sua influenza nei meccanismi decisionali europei, ma si è anche autoesclusa da numerosi consessi informali in cui si formano le priorità dell’agenda comune. Il mancato ingresso nell’Iniziativa dei Tre Mari è uno degli esempi più evidenti: una piattaforma di cooperazione infrastrutturale e strategica che oggi coinvolge 13 paesi, e da cui Roma rimane fuori per mera disattenzione diplomatica.

Il peso che il governo ha dato alle relazioni con Washington, in particolare con l’area trumpiana, ha finito per generare sospetti sulla lealtà italiana nei confronti delle priorità europee. A parole la Meloni difende l’Ucraina, nei fatti frena sui pacchetti di aiuti europei. A parole promuove la transizione ecologica, nei fatti aumenta le importazioni di gas. A parole si dice paladina dell’ordine, nei fatti produce tensioni con la magistratura, limitazioni alla stampa pubblica e un rapporto conflittuale con la società civile, alimentando la percezione di un Paese sempre più vicino al cluster Visegrád.

L’autorevolezza non è una bandiera

L’Unione europea funziona anche – e soprattutto – su una reputazione di coerenza. L’Italia, oggi, manca proprio di questo: coerenza tra dichiarazioni e politiche, tra linea ufficiale e posizioni interne, tra ambizione e realtà. L’autorevolezza, in Europa, si costruisce con l’affidabilità. Non con le uscite pubbliche a effetto, non con le alleanze occasionali, non con i calcoli di breve termine. E quando si perde, è difficile riconquistarla. Per questo, l’isolamento italiano non è un incidente. È una responsabilità.