Anna Chiti aveva 17 anni e tutta la vita davanti. Frequentava il quarto anno dell’Istituto nautico a Venezia, avrebbe voluto iscriversi a Giurisprudenza e diventare avvocato. È morta sabato scorso nelle acque della laguna, scivolando da un catamarano. Si trovava lì come interprete per un gruppo di turisti: l’aveva ingaggiata direttamente il comandante ma senza farle firmare un contratto di lavoro. Le era stato promesso che, se le cose fossero andate bene, sarebbe stata richiamata. Non ce ne sarà occasione. La sua scomparsa ha provocato la solita – ipocrita – ondata d’indignazione. Ma questa non è che la punta dell’iceberg in un Paese in cui, ogni giorno, 3 persone perdono la vita nelle fabbriche, sui cantieri, nei campi. Spesso in “nero”, proprio come Anna.
Sono state 205 solo nel primo trimestre dell’anno (+8,37% sul 2024) secondo i dati dell’Inail. Un’ecatombe. Per tale motivo, in vista dei referendum dell’8 e 9 giugno, assumono un gusto ancora più amaro gli inviti all’astensione rivolti agli italiani da alcuni alti rappresentanti dello Stato. Anche stavolta, la maggioranza di turno ha colto la palla al balzo per trasformare la consultazione in un duello rusticano tra fazioni politicamente opposte, oscurando qualsiasi discussione di merito dei quesiti. Qui però non ci sono colori politici che tengano: il punto cruciale è quale mercato del lavoro si vuole costruire negli anni a venire visto che, per come stanno oggi, le cose non funzionano. Il rapporto Istat 2025, presentato ieri, restituisce l’immagine di un’Italia in cui i salari e la produttività continuano a scendere in picchiata, dove aumenta il rischio povertà ed esclusione sociale (l’incidenza raggiunge quasi il 40% al Sud) e nel quale sempre più giovani fanno armi e bagagli e volano all’estero – solo per fare degli esempi.
Il Jobs Act, che questi referendum vogliono cancellare, si è inserito nel solco delle peggiori leggi sul lavoro varate dagli Anni ’90, segnando una profonda frattura tra lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto attuativo del contratto a tutele crescenti. Una legge che ha ridotto i diritti e alimentato il precariato, annegata in un mare di incostituzionalità. Chi oggi dice di voler fare “propaganda” per l’astensione finge di dimenticare che, quando fu approvato il Jobs Act, la leader del suo partito lo definì “carta buona per incartare le pizze”. Restare a casa significa minare il futuro di milioni di giovani. Ecco perché è fondamentale una grande partecipazione popolare: andiamo tutti a votare.