Il grande bluff del Pnrr ecologico: il gap tra risorse stanziate, soldi effettivamente spesi e risultati deludenti

Il report Assonime smonta la narrazione ufficiale: fondi allocati ma spesa minima, ritardi gravi e zero trasparenza sul PNRR verde

Il grande bluff del Pnrr ecologico: il gap tra risorse stanziate, soldi effettivamente spesi e risultati deludenti

Dietro i numeri trionfalistici sul conseguimento di milestone e target si nasconde una realtà molto meno brillante: la transizione ecologica promessa dal Pnrr italiano soffre di gravi ritardi, spese al palo e una cronica mancanza di trasparenza. A dirlo non è un’opinione, ma il secondo rapporto Pnrr Watch curato da Assonime e Openpolis, che ha analizzato investimenti per circa 12 miliardi di euro in settori chiave come gestione rifiuti, reti intelligenti, infrastrutture idriche e idrogeno verde.

Target raggiunti, risultati mancati

Il paradosso più eclatante emerge fin da subito: molte misure risultano formalmente in linea con gli obiettivi del Piano, ma i dati reali raccontano tutt’altro. Nella gestione dei rifiuti, ad esempio, il 90% delle risorse è stato allocato ma solo il 12% effettivamente speso. Nella linea C, dedicata agli impianti più innovativi, su 38 progetti previsti solo uno è stato completato. Anche i cosiddetti “progetti faro” di economia circolare arrancano: dei 600 milioni stanziati, meno del 15% è stato speso, mentre 52 delle 235 proposte approvate sono state ritirate.

La situazione non migliora sul fronte energetico. Le smart grid – fondamentali per integrare le rinnovabili nella rete nazionale – hanno visto completata la fase progettuale, ma a marzo 2025 la spesa effettiva era sotto il 5%. Su 22 progetti, 20 risultano fermi o appena avviati. La retorica sulla transizione verde si scontra con una macchina esecutiva visibilmente inceppata.

Infrastrutture idriche e mobilità elettrica

Gli investimenti in infrastrutture idriche primarie, pur considerati “in linea” dal governo, vedono solo il 24% delle risorse spese. Secondo la Corte dei Conti il tasso di avanzamento reale è appena all’11%. Ancora più critica la situazione per la mobilità elettrica: i progetti per le colonnine di ricarica sulle autostrade sono stati dichiarati inidonei, e anche la revisione della misura, con focus sui centri urbani, ha prodotto una partecipazione inferiore alle attese. Rfi e Anas, chiamate a intervenire, hanno rifiutato di stipulare la convenzione. I numeri parlano chiaro: da 4.718 infrastrutture assegnate si è scesi a 2.217 reali, e nemmeno tutte completate.

Un piano opaco e sbilanciato

A pesare è anche la disomogeneità territoriale: i progetti avanzano più rapidamente nel CentroNord, mentre il Mezzogiorno resta indietro, ostacolato da carenze amministrative e progettuali. Ma il nodo più grave resta la mancanza di trasparenza. Il monitoraggio pubblico è lacunoso, i dati aggiornati spesso assenti o difficilmente interpretabili. La piattaforma ReGiS, cuore della rendicontazione, non è accessibile e non consente nemmeno agli enti attuatori di agire con tempestività. Così la più grande occasione di rilancio infrastrutturale e ambientale si trasforma in un oggetto opaco e distante, un “piano anonimo”, per usare le parole del report, sempre più lontano dai cittadini.

Conclusione sospesa

Se davvero il Pnrr doveva segnare la svolta per un Paese più sostenibile e moderno, la fotografia scattata da Assonime mostra un’Italia che rischia di perdere il treno della transizione. E il rischio più grande non è solo economico, ma politico: perché senza un reale impatto e senza una narrazione pubblica che accompagni le trasformazioni, anche le migliori riforme si trasformano in incompiute.