Donald Trump insiste su Truth sulla tesi che il mondo si è approfittato degli Usa per troppo tempo. “Gli Stati Uniti d’America – scrive – sono stati derubati nel commercio (e nell’esercito!), da amici e nemici, allo stesso modo, per decenni. Questo è costato migliaia di migliaia di dollari, e la situazione non è più sostenibile – e non lo è mai stata! I paesi dovrebbero fermarsi e dire: ‘Grazie per i tanti anni di libertà, ma sappiamo che ora voi dovete fare ciò che è giusto per l’America’”. Ma nello stesso tempo dice: “Siamo aperti ai colloqui, anche con l’Europa”.
L’Ue si spacca sui dazi
La parola d’ordine che arriva da Bruxelles, da qui al primo agosto, ovvero durante i tempi della trattativa che comunque vengono confermati, è prudenza. Ma non è semplice. Sin dall’inizio della partita sui dazi le capitali, sia pur in maniera non plateale, hanno preso posizioni sensibilmente diverse, dividendosi sommariamente tra i falchi – ovvero coloro che non chiudono la porta ad una vera e propria guerra commerciale con Trump – e le colombe, legati alla linea morbida. Ed è in questo secondo gruppo che si colloca, ovviamente l’Italia, di Giorgia Meloni che non ha nessuna intenzione di irritare l’amico Trump. E anche Berlino. Il fronte degli intransigenti è guidato da due capitali: Parigi e Madrid. Emmanuel Macron, nelle ore successive all’imposizione del 30% da parte di Washington, ha esortato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen a preparare “contromisure credibili”, mettendo tutti gli strumenti a disposizione sul tavolo.
A margine del Consiglio Ue Commercio, attraverso il ministro per gli Affari Ue, Laurent Saint-Martin, ha evocato la necessità di un cambio di metodo e la preparazione del cosiddetto bazooka, ovvero dello strumento anti-coercizione. Pedro Sanchez, sin dal clamoroso “no” a Trump sul 5% alla Nato e complici anche le distanze politiche con l’amministrazione Usa, si colloca tra i Paesi favorevoli ad una posizione più muscolare. Al momento von der Leyen sembra prediligere la linea morbida. Le contromisure sono in preparazione, ma per ora si limitano al settore delle merci. Lo strumento anti-coercizione, attraverso cui l’Ue potrebbe arrivare ad escludere le aziende Usa tout court, è l’ultima spiaggia. Nel concreto, le misure in sospeso sono due: un primo pacchetto da quasi 21 miliardi di euro, che colpisce prodotti americani in risposta ai dazi su acciaio e alluminio, e un secondo da 72 miliardi contro i dazi “universali” in via di finalizzazione.
“La strategia arrendevole di Meloni nei confronti di Trump si è rivelata del tutto fallimentare. Venga in Parlamento a chiarire al Paese cosa intende fare per sostenere il negoziato europeo e per sventare questi dazi al 30% che avrebbero un impatto devastante sulle imprese e sui lavoratori italiani”, ha dichiarato la leader del Pd, Elly Schlein. “Il dialogo con gli Stati Uniti è doveroso e va perseguito fino all’ultimo momento utile, ma ormai è evidente a tutti che all’arroganza di Trump non si risponde con le carezze della Meloni. Se durante la crisi finanziaria del 2008 gli squilibri dell’euro sono scaturiti dalla mancanza di una unione fiscale, oggi se il mercato unico europeo non riesce ad assorbire gli shock macroeconomici innescati dalla guerra commerciale americana, e non reagisce, si rischia il crollo dell’Ue stessa”, ha avvertito il capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo. Pasquale Tridico. Le minacce del presidente Usa ad ogni modo non spaventano più i mercati. E’ l’impressione che prevale osservando la reazione delle borse alle lettere inviate nel fine settimana, tra cui quella all’Ue.
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