In un Paese ossessionato dalle classifiche, dalle percentuali e dai ranking europei, c’è un dato che racconta più di molti discorsi sulla modernità mancata: nel 2024 il 15,2% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione. I Neet. Un’etichetta clinica per un problema politico, sociale ed economico che affonda le radici in un sistema incapace di costruire percorsi di emancipazione. L’Italia è seconda in Europa, dietro solo alla Romania, per incidenza del fenomeno, secondo Openpolis.
Ma sotto il dato aggregato si nasconde una frattura più profonda e trasversale, quella che separa chi ha una rete – patrimoniale, familiare, relazionale – da chi vive senza nessuna protezione. La “Netless Class”, come la chiama Simone Cerlini su Lavoce.info, è fatta di giovani e adulti che non rientrano nei canoni classici della povertà: lavorano, spesso studiano, a volte si affacciano sul mercato con competenze formali anche elevate. Ma basta un inciampo – una malattia, una separazione, una crisi economica – per vederli franare. Perché non hanno un capitale su cui contare, né tutele accessibili, né la possibilità di difendere i propri diritti senza rimetterci tutto.
Una generazione senza appigli
La condizione dei Neet, giovani che non studiano e non lavorano, non è solo un indicatore statistico: è l’effetto visibile di una struttura che non garantisce percorsi, non orienta, non accompagna. Il 17,8% dei giovani diplomati italiani è Neet, una percentuale superiore persino a quella dei coetanei con solo la licenza media (13,3%). Tra i laureati si scende all’11,8%, ma sempre sopra la media europea. Segno che anche il titolo di studio, da solo, non protegge più. E che il mercato del lavoro italiano, con le sue richieste sempre più sbilanciate verso competenze digitali e flessibilità estrema, non assorbe la fatica formativa dei giovani. Soprattutto se non accompagnati, se privi di una rete familiare che li orienti, se provenienti da territori svantaggiati.
Non a caso, l’incidenza dei Neet è massima nelle aree urbane più dense (16,3%) e in particolare nel Mezzogiorno: a Catania si tocca il 42%, a Palermo il 39,8%, a Napoli il 37,3%. È un dato strutturale, non episodico, che resiste agli slogan e alle riforme annunciate. E che mostra una correlazione netta tra esclusione educativa e vulnerabilità socio-economica.
Il lavoro senza scialuppa
La crisi dei giovani “senza rete” si intreccia con quella di adulti che non riescono più a “farcela da soli”. Il mercato del lavoro flessibile e segmentato, la contrazione dei diritti, l’erosione del welfare e la concentrazione delle ricchezze hanno prodotto una nuova classe trasversale: chi lavora, ma non ha alcuna protezione. Non sono poveri nel senso tradizionale, ma lo diventano al primo colpo di vento. “L’imprevisto – scrive Cerlini – non è solo un rischio: è una soglia che li separa dalla caduta”.
Questa condizione si traduce in disuguaglianze materiali e simboliche. Chi non ha capitale, non può permettersi di sbagliare. Né può difendersi legalmente: non ha i soldi per un avvocato, per reggere una causa, per contrastare una diffamazione o un licenziamento illegittimo. L’accesso alla giustizia diventa privilegio di chi ha mezzi. L’insicurezza economica si trasforma in insicurezza politica e sociale, e apre la strada alla frustrazione, alla rabbia, alla delega a soluzioni identitarie.
Contro l’Italia disarmata
Non si esce da questa trappola con qualche bonus o con la retorica del “merito”. Serve un cambiamento strutturale. Investimenti pubblici orientati all’inclusione, un welfare che non sia residuale, un riequilibrio fiscale che faccia pagare di più a chi ha di più. E politiche educative che non siano solo trasmissione di nozioni, ma costruzione di possibilità.
Oggi chi ha capitale lo vede moltiplicarsi, chi ha solo lavoro vive in equilibrio precario. E chi non ha né l’uno né l’altro si perde per strada. È l’Italia disarmata, quella che non fa notizia, ma che pagherà il conto più salato della prossima crisi. Se non si costruiscono reti, si scavano fossati. E chi cade, in fondo, non fa più rumore.