Giorno 10. La Flotilla ha imparato a navigare tra i colpi e le bugie. Dopo la Family, la “Alma” è stata colpita in acque tunisine: a bordo hanno trovato i resti di un ordigno elettronico, nessun ferito, solo l’ennesimo avvertimento a chi osa portare testimonianza verso Gaza. Lo dicono le agenzie, non “gli entusiasti di professione”. 
Intanto a Gaza la cronaca è una contabilità che non finisce. Dall’alba si contano nuovi morti nei raid e l’esercito israeliano ordina l’evacuazione di quartieri interi di Gaza City: fonti militari parlano di almeno 150mila persone in fuga verso sud, mentre cadono anche le torri simbolo della città. È l’urbanistica ridotta a bersaglio, la popolazione a variabile ignorabile. 
Qui, a terra, la propaganda tenta l’acrobazia: sminuire gli attacchi, insinuare il complotto, trasformare i sabotaggi in incidenti. L’abbiamo visto, l’abbiamo smontato. E sì: i millantatori che oggi giocano a fare i periti balistici sono gli stessi che ieri derubricavano Gaza a “danno collaterale”. La maschera scivola sempre quando arrivano i fatti.
Oggi si parte da Siracusa. Non è una cerimonia, è una promessa mantenuta: unire il mare corto del Mediterraneo alla distanza lunga della responsabilità. Partono barche e parte una rete che ha capito la propria funzione: vigilare, sbugiardare, proteggere. In Parlamento c’è chi chiede protezione diplomatica per gli equipaggi; fuori, c’è una società civile che non accetta più di essere spettatrice pagante. 
La Flotilla non sposta gli eserciti e non decide i confini. Ma misura il coraggio dei governi. Davanti ai droni che colpiscono imbarcazioni civili e a una striscia di terra stretta tra fame e sirene, si può scegliere: fingere di non vedere, o mettere il proprio nome accanto a chi prova a forzare l’assedio. Oggi tocca a Siracusa dare la rotta. Domani, a tutti gli altri.