Le Lettere

I Papaboys e la storia

Sento criticare i giovani di oggi perché non si ribellano alle ingiustizie del mondo. Per esempio i Papaboys ad agosto, che non hanno espresso solidarietà al popolo palestinese. Ma non dimentichiamo lo schifo di mondo che lasciamo a questi ragazzi: noi non siamo stati migliori.
Elena Carini
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Gentile lettrice, con “noi” immagino intenda i baby-boomers, i nati dopo la seconda guerra mondiale, beneficiari del benessere economico del secondo ‘900. È vecchia questa storia del mondo che lasciamo ai posteri. Vogliamo parlare del mondo che hanno lasciato a noi le generazioni precedenti? Due guerre mondiali, montagne di morti, il fascismo e la sua variante nazista, i gulag, la bomba atomica, genocidi (gli armeni, il Laos…). E indietro nel tempo, il colonialismo, lo sterminio delle civiltà precolombiane nelle Americhe (indiani, Inca, Maya, Aztechi), la cancellazione di intere culture in Africa e in Asia, le Crociate. Di questo vogliamo parlare? O dobbiamo solo auto flagellarci come unica generazione colpevole di tutta la Storia passata, presente e futura? Quanto ai Papaboys, si radunano giulivi a Roma a migliaia e in un mare di retorica buonista non trovano un solo pensiero di pietà per i palestinesi martirizzati ogni giorno da Israele. Da quella piattaforma con visibilità mondiale avrebbero potuto lanciare un grido di dolore per la più immane carneficina dei nostri tempi e invece non dicono una parola, né loro né il Papa. Ipocriti. Non sono perdonabili. Sono cervelli lobotomizzati, sono anime morte. Per fortuna non tutti i giovani sono Papaboys: gli altri hanno un cervello e un’etica, e gridano per Gaza.