Dalle macerie di Gaza al racconto del giornalista palestinese Safwat Al-Kahlout al Movimento Five Festival di Pescara: “Il nostro mestiere sacro per raccontare l’indicibile”

Dalle macerie di Gaza al racconto del giornalista palestinese Safwat Al-Kahlout al Movimento Five Festival di Pescara

Dalle macerie di Gaza al racconto del giornalista palestinese Safwat Al-Kahlout al Movimento Five Festival di Pescara: “Il nostro mestiere sacro per raccontare l’indicibile”

Un’ondata di commozione e attenzione ha avvolto il Movimento Five Festival, dove il giornalista palestinese Safwat Al-Kahlout, insignito della “Colomba d’oro per la pace” 2024, ha portato la sua testimonianza diretta da Gaza. Nato a Jabalia, nel nord della Striscia, Al-Kahlout vanta un curriculum internazionale: laureato in lingua e letteratura inglese a Gaza e con studi proseguiti in Italia, ha lavorato come producer e giornalista per testate di calibro mondiale come l’australiana ABC, la canadese CBC, l’inglese BBC, la RAI, oltre a collaborazioni con il The New York Times, il The Guardian, il Corriere della Sera, la Repubblica e La Stampa.

Dal 2010 è una delle voci più autorevoli di Al Jazeera, per cui ha coperto tutte le cinque guerre Israele-Gaza, inclusa l’ultima, iniziata il 7 ottobre.
Il Movimento Five Festival, giunto alla sua edizione 2025 e tenutosi dal 12 al 14 settembre al parco Villa Sabucchi di Pescara, è una storica manifestazione ideata e organizzata dal M5S di Pescara. L’evento si propone di unire riflessione politica, partecipazione civica e visione del futuro, con il nome FIVE che non si riferisce solo alle stelle del Movimento, ma anche a Fatti, Idee, Volontà, Evoluzione.

Gli organizzatori, Erika Alessandrini (consigliera regionale del M5S in Abruzzo) e Paolo Sola (consigliere comunale di Pescara), hanno curato un’edizione ricca di contenuti, con due incontri tematici al giorno su temi urgenti come ambiente, diritti, legalità, politica internazionale e buone pratiche amministrative. La grande partecipazione di pubblico ha confermato il bisogno di spazi di ascolto e confronto dove le idee dei cittadini possano emergere. Il Festival ha inoltre offerto stand di associazioni territoriali e, in particolare, tutte le sere è stato attivo lo “Spazio Gaza”, con racconti e riflessioni dalla Palestina, evidenziando l’impegno dell’evento a dare voce a chi lavora con passione per il bene comune e a costruire una visione condivisa del futuro attraverso il dialogo.

L’evento organizzato dal Movimento 5 Stelle di Pescara

La toccante testimonianza di Safwat Al-Kahlout si è inserita nel panel intitolato “L’Europa del riarmo e la Palestina: voci, verità e speranze”, un confronto aperto sulla situazione geopolitica con un focus specifico sulla Palestina. È stato un momento “particolarmente emozionante e intenso”, in cui il giornalista ha raccontato in presa diretta la “cruenta guerra che uccide civili e bambini”.

Accanto ad Al-Kahlout, il panel ha visto la partecipazione di figure importanti: l’europarlamentare pentastellato Mario Furore, tra i firmatari di un’interrogazione parlamentare che condanna i piani israeliani di occupazione di Gaza; la deputata del M5S Stefania Ascari, avvocata penalista impegnata nella difesa dei diritti umani; il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, storico sostenitore del riconoscimento dello Stato di Palestina; la giornalista Romana Rubeo, caporedattrice del The Palestine Chronicle, e Nico Bavaro, responsabile per il Mezzogiorno di Sinistra Italiana. L’incontro è stato moderato da Don Max, “il parroco coraggio delle periferie pescaresi”.

L’intervento di Safwat Al-Kahlout

Salendo sul palco, Al-Kahlout ha espresso un ringraziamento sentito e una profonda soddisfazione per il “risveglio del popolo italiano”, un risveglio che, seppur tardivo, lo ha reso “molto felice”. Il suo intervento ha subito messo in luce la situazione critica dei giornalisti a Gaza, sottolineando come, dopo il 7 ottobre, Israele abbia immediatamente chiuso i valichi, impedendo l’ingresso ai giornalisti internazionali. Una mossa che, secondo Al-Kahlout, faceva parte di un piano per “fare i massacri, uccisione, genocidio” impunemente.

“Non è la prima volta che accade”, ha ricordato Al-Kahlout, riferendosi anche alla guerra del 2021, quando i valichi furono chiusi e fu distrutto il palazzo di Al Jazeera, ma di cui “nessuno se ne parla perché era finita” e “sempre la vittima è Gaza”. In questo scenario, i giornalisti palestinesi si sono trovati di fronte a una “responsabilità grandissima”. “Noi abbiamo capito dall’inizio che tutti i colleghi non internazionali non possono entrare, quindi noi saremmo gli occhi di tutto il mondo”, ha dichiarato Al-Kahlout, evidenziando il ruolo cruciale assunto dai reporter locali.

“Superate tutte le linee rosse”

La guerra attuale, iniziata il 7 ottobre, è stata definita “molto diversa” dalle precedenti. Gli israeliani, ha affermato il giornalista, “hanno superato tutte le linee rosse, quindi hanno bombardato ospedali, hanno bombardato moschee, chiese, strade”, provocando una distruzione “enorme, incredibile”. I giornalisti si sono trovati fin da subito sotto un “pericolo diretto”, con attacchi mirati e uccisioni. Nonostante ciò, i reporter palestinesi hanno accettato la sfida, lavorando in condizioni estreme: “senza corrente elettrica, senza acqua, senza cibo, senza uffici, senza laptop, senza tutto quasi”.

Al-Kahlout ha raccontato episodi che dimostrano la disperazione e l’ingegno per continuare a informare. Per far funzionare i generatori elettrici, hanno cercato gasolio nelle auto ferme, acquistandolo dai proprietari. Per la connessione internet, hanno dovuto comprare schede SIM israeliane o egiziane e avvicinarsi ai confini per poter trasmettere le notizie quando le reti locali venivano bombardate.

Il racconto si è fatto più cupo nel descrivere le scene strazianti a cui hanno assistito: “bambine pezzi senza testa, senza bracci, un palazzo che era colpito decine dei famiglie… sotto gli macerie”. Un collega, ha ricordato con dolore, si è ritrovato a filmare la propria famiglia, tra uccisi e feriti, mentre veniva caricata sulle ambulanze.

Segni indelebili

Questa esperienza professionale, ha sottolineato Al-Kahlout, è “veramente da insegnare nelle facoltà di giornalismo, perché questo è un nuovo giornalismo”. Ha espresso delusione verso i giornalisti occidentali, accusandoli di attendere “una linea di guida” su come definire la situazione: “Stiamo negoziando se è un genocidio o non è un genocidio, è una vergogna”. Per lui, il giornalismo è un “mestiere sacro”, non un business, e i giornalisti palestinesi stanno pagando un prezzo altissimo, perdendo “le nostre vita, la vita dei nostri bambini, le nostre case”.

Il ruolo dei giornalisti palestinesi è stato cruciale anche per “cambiare la narrazione israeliana”. Al-Kahlout ha contestato la tradizionale immagine di Israele come vittima, ribadendo che gli arabi sono semiti e che l’accusa di antisemitismo è spesso usata in modo strumentale. “La dominazione sulla stampa internazionale è quasi finita in Italia, anche deve finire qua”, ha incalzato, esortando i colleghi italiani a essere “più coraggiosi, più professioniste”. Di fronte alle morti quotidiane, ha esclamato: “Chiamatelo come lo volete, l’importante è fermarlo”.

Infine, Al-Kahlout ha riaffermato il diritto dei palestinesi all’indipendenza e alla libertà, denunciando il “razzismo nuovissimo” dei coloni e la chiusura delle strade in Cisgiordania. Ha concluso ricordando come gli Accordi di Oslo del ’93, che prevedevano la cessione del 78% della terra storica palestinese in cambio di pace, si siano rivelati una “grande bugia”, con la comunità internazionale “non abbastanza seria per aiutare i palestinesi per la loro indipendenza, perché tutti hanno paura dei sionisti, purtroppo”.