Il Tribunale di Roma ha ordinato, tra il 6 e il 10 agosto e poi il 9–10 settembre 2025, di rilasciare entro sette giorni visti d’ingresso a famiglie palestinesi bloccate nella Striscia. Al 24 settembre non risulta alcun visto effettivamente rilasciato. Per le ordinanze di agosto il ritardo ha toccato fino a quarantuno giorni oltre il termine; per quelle di settembre siamo tra sette e otto giorni oltre la scadenza. In mezzo a questo scarto, la protezione promessa rimane sulla carta.
Le ordinanze qualificano l’urgenza richiamando il rischio di «violazioni irreparabili» dei diritti fondamentali: vita, salute, unità familiare. I giudici hanno riconosciuto un diritto rafforzato all’ingresso per cinque nuclei, circa quaranta persone, con molti minori, anziani e malati, e parenti di cittadini italiani. In un’area assediata, con ospedali al collasso e accesso intermittente a beni essenziali, ogni giorno accumula pericolo.
Ordini esecutivi, termini scaduti
La pubblica amministrazione non può scegliere se eseguire: deve farlo, e in fretta. Gli ordini sono immediatamente esecutivi e non lasciano margini sul “se”, solo sul “come” organizzare i passaggi. Eppure nulla è visibile. Mancano i dati minimi: quanti visti di lungo soggiorno siano stati stampati, quando siano partite le richieste ai varchi, quali risposte siano arrivate da Israele e Giordania.
Senza trasparenza la tesi dei «lasciapassare esterni» resta un alibi non verificabile. Il governo rivendica di aver snellito le procedure per studenti e ricongiungimenti e ricorda la necessità dei permessi di transito. Ma il punto logico è un altro: il rilascio del visto è una competenza italiana e costituisce il presupposto per ogni successivo passaggio. Finché non si vede il primo atto, il resto è ipotesi. Gli avvocati parlano di un’amministrazione che mantiene i provvedimenti «sulla carta», mentre i giorni corrono oltre i termini fissati dai giudici.
Studenti bloccati, atenei in allarme
La stessa criticità grava su circa centocinquanta studenti palestinesi dei programmi Iupals e Crui, selezionati e finanziati da Italia e Unione europea. I corsi dovevano iniziare a settembre: senza visti e senza canali di uscita, la finestra accademica si chiude e le borse rischiano di evaporare. Rettori e docenti hanno lanciato appelli, in Parlamento interrogazioni: finora non c’è traccia di ingressi né di un piano operativo. Nel frattempo lo Stato finanzia talenti che non può far entrare e disperde capitale umano che chiede solo di poter studiare in sicurezza. Anche qui serve verificabilità: numeri sui visti, date delle richieste, risposte dai varchi, responsabilità per ogni passaggio.
Davanti a ordini giudiziari inascoltati e a un calendario universitario che non aspetta, le associazioni indicano tre priorità misurabili: esecuzione immediata delle ordinanze con rilascio dei visti ai beneficiari; attivazione di corridoi e coordinamento con i partner internazionali; pubblicazione periodica dei dati su visti emessi, richieste di transito, esiti. Non slogan, ma atti: firme, timbri, responsabilità. Qui non si discute di preferenze politiche: si tratta di ottemperare a decisioni giudiziarie e proteggere vite vulnerabili.
Al 24 settembre 2025 il quadro resta fermo: ordini esecutivi disattesi da sei a quarantuno giorni; nessun visto D risulta consegnato ai ricorrenti; nessuna evidenza pubblica di transiti autorizzati. Nel mezzo stanno cinque famiglie e circa centocinquanta studenti in attesa di uscire da Gaza. Tra diritto sancito e pratica amministrativa si è aperto un vuoto che non si colma con comunicati. Si colma con decisioni che lasciano tracce: protocolli, date, ingressi. E con una scelta politica limpida: far prevalere la legge sui calcoli. Ogni ora senza risposta pesa su malattie da curare, su famiglie da ricongiungere, su studenti che hanno già vinto una chance. Il resto sono scuse. Le famiglie aspettano lo Stato, non promesse. Ora.