Global Sumud Flotilla, cose turche sulla missione: la navi inviate da Erdogan cambiano la rotta politica

La scorta militare turca e gli scontri in Italia dividono la politica, mentre la Flotilla punta a Gaza tra minacce e tentativi di mediazioni

Global Sumud Flotilla, cose turche sulla missione: la navi inviate da Erdogan cambiano la rotta politica

Maria Elena Delia, portavoce della delegazione italiana a bordo della Global Sumud Flotilla, ha avuto contatti tra ieri e l’altro ieri i ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto e i rappresentanti delle opposizioni. I colloqui hanno segnato il punto più alto di una mediazione fragile: il governo ha ribadito la linea della cautela, invitando a non “forzare il blocco navale” imposto da Israele, mentre le opposizioni hanno insistito sulla necessità di aprire un corridoio umanitario permanente. Delia ha parlato senza mezzi termini di «interferenze dell’esecutivo» e di un dialogo bloccato «da chi avrebbe il dovere di tutelare, non di frenare».

I retroscena di una trattativa a più livelli

Nelle stesse ore, il ministro Crosetto descriveva agli interlocutori politici uno scenario definito «un incubo»: le prossime 48 ore sono considerate decisive, con Israele determinato a chiudere la partita entro mercoledì, vigilia di Yom Kippur. Il rischio evocato è quello di un intervento armato, anche se il presidente israeliano Isaac Herzog ha promesso che non sarà usata “forza letale”. La presenza della fregata italiana Alpino rimane vincolata a regole d’ingaggio di sola assistenza, un ruolo che il Quirinale ha voluto precisare per non legittimare un’operazione di polizia marittima.

A bordo delle imbarcazioni, i parlamentari del Partito democratico hanno ribadito che non forzeranno il blocco, ma resteranno come “scudi umani” a protezione degli altri attivisti. Una scelta che divide la politica: per Giorgia Meloni i deputati «avrebbero già dovuto abbandonare le navi», mentre l’opposizione considera quella presenza un presidio minimo di legalità. Dietro le quinte, la Conferenza episcopale italiana e il patriarcato latino di Gerusalemme guidato dal cardinale Pizzaballa sono coinvolti nelle mediazioni, con l’ipotesi di un corridoio permanente gestito dalla Chiesa.

La svolta turca

La notizia che più ha inciso sul quadro geopolitico è arrivata oggi pomeriggio: due fregate della Marina turca hanno preso a scortare le navi della Flotilla. Un passaggio che cambia radicalmente i rapporti di forza nel Mediterraneo, mettendo di fronte non più solo attivisti e unità israeliane, ma due Stati, uno membro (la Turchia) e l’altro partner (Israele) della Nato. La Guardia costiera turca aveva già prestato assistenza ieri a un’imbarcazione in avaria, trasferendo parte dell’equipaggio. Ora la scorta ufficiale di Ankara segna un salto politico, con il governo di Recep Tayyip Erdoğan che si espone apertamente in difesa della missione.

Le conseguenze potrebbero essere pesanti. Israele ha ribadito che «ogni tentativo di violazione sarà impedito con ogni mezzo possibile». Ma il confronto diretto con navi militari turche introduce variabili di rischio che vanno ben oltre il conflitto israelo-palestinese, aprendo scenari di tensione tra alleati Nato. Per la prima volta dalla guerra a Gaza del 2023, il Mediterraneo orientale diventa teatro di un possibile scontro tra flotte regolari.

La politica italiana divisa

Il fronte interno continua a oscillare. Maurizio Gasparri, in nome di Forza Italia, ha definito la Flotilla «un’iniziativa politica» invitando a «raccogliere l’appello del governo e del presidente Mattarella» per fermarla. Matteo Salvini si è detto convinto che «nessuno cercherà lo scontro o un incidente diplomatico». Sul fronte opposto, Laura Boldrini ha chiesto al governo di convocare l’ambasciatore israeliano per pretendere garanzie di sicurezza, mentre Emiliano Scuderi (Alleanza Verdi Sinistra) e Angelo Bonelli hanno rilanciato la richiesta di «corridoi umanitari permanenti».

Le voci critiche si sono moltiplicate anche fuori dal Parlamento. La Fiom ha dichiarato il «pronti allo sciopero» in sostegno della Flotilla, mentre associazioni cattoliche e movimenti pacifisti hanno invocato un ruolo più deciso delle istituzioni italiane e internazionali. Don Luigi Ciotti e Luca Casarini hanno firmato un appello in cui chiedono a chi ha potere «di parlare con Israele per salvare vite umane», sottolineando che «le acque del Mediterraneo non possono essere zona franca per eserciti armati».

Verso la zona rossa

La rotta prevede l’ingresso della Flotilla nella cosiddetta “zona a rischio” nella giornata di domani, con arrivo previsto a Gaza giovedì. Le barche rimaste sono 43, dopo l’abbandono della Johnny M per un’avaria al motore. Emergency, con la nave Life Support, ha soccorso un’altra imbarcazione in difficoltà, garantendo la prosecuzione della missione. Intanto droni israeliani sorvolano ogni notte la flotta, alimentando la tensione e la percezione di trovarsi sull’orlo dello scontro.

L’epilogo resta incerto. Il Mediterraneo rischia un’escalation militare senza precedenti negli ultimi anni. Se invece le mediazioni discrete del Quirinale, della Conferenza episcopale e delle opposizioni riusciranno a spostare il baricentro, si aprirà forse la prima breccia nel blocco che da sedici anni assedia Gaza. In ogni caso, gli occhi del mondo sono puntati su questa flotta di civili, parlamentari e attivisti che ha costretto governi, eserciti e diplomazie a misurarsi con la questione che tutti avrebbero preferito rimuovere: la sopravvivenza di due milioni di persone rinchiuse in un assedio dichiarato illegittimo dalla maggior parte della comunità giuridica internazionale.