La seconda presidenza di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea rischia di trasformarsi in un boomerang politico. A Bruxelles non si fermano le critiche sul suo sistema di comunicazione: giornalisti, lobbisti e persino funzionari della stessa Commissione denunciano difficoltà crescenti nell’ottenere informazioni attendibili. Non è un dettaglio tecnico, ma un problema politico in piena regola, perché riguarda la trasparenza di un’istituzione già in affanno.
Le accuse si concentrano sul portavoce service, lo “SPP”, una struttura di circa ottanta persone che risponde direttamente alla presidente. In teoria dovrebbe garantire il flusso di notizie tra Commissione e opinione pubblica. In pratica viene accusato di fornire informazioni contraddittorie o fuorvianti, di ritardare le risposte e di alimentare diffidenza. Il presidente dell’Associazione Internazionale della Stampa, Dafydd ab Iago, ha denunciato mesi di “comunicati sterilizzati” e l’assenza dei documenti necessari per verificare i contenuti.
Il caso Ribera e gli altri inciampi
La lista delle gaffe è lunga. A settembre la commissaria alla concorrenza Teresa Ribera ha disertato la conferenza stampa sulla maxi-sanzione a Google. Ai giornalisti fu detto che aveva un volo anticipato: notizia rivelatasi falsa. Sempre nello stesso mese, sulla presunta interferenza russa al GPS dell’aereo di von der Leyen, i portavoce fornirono versioni opposte. Altre volte, come nel webinar sull’intelligenza artificiale, l’evento fu presentato come “off the record” e poi trasmesso integralmente su YouTube.
Le proteste non riguardano solo la gestione degli imprevisti. Quando in luglio è stato presentato il piano da 2.000 miliardi per il bilancio pluriennale, l’Associazione della Stampa internazionale ha parlato apertamente di tentativo di “strumentalizzazione e confusione”, visto che la proposta era priva persino di una tabella numerica di base. Lo stesso era accaduto pochi mesi prima, con il silenzio sulla malattia della presidente: i portavoce negarono aggiornamenti mentre von der Leyen era già ricoverata.
La centralizzazione del potere
Dietro questa catena di errori c’è una struttura sempre più accentrata. Von der Leyen ha ridotto il numero dei portavoce e ogni informazione passa dal vaglio del suo gabinetto. I funzionari parlano di un sistema “avverso al rischio” che rallenta tutto e indebolisce la credibilità della Commissione. In sostanza, più che un servizio di comunicazione, l’SPP appare come un braccio politico della presidenza, con margini ridotti di autonomia.
L’arrivo, a giugno, di Alexandra Henman – ex portavoce del Partito popolare europeo – come consigliera per la comunicazione interna, ha rafforzato questa impressione. Un doppio canale, tra SPP e gabinetto, che aumenta la confusione. Non è un caso che diversi osservatori abbiano parlato di una “Commissione più politica”, ma anche più opaca.
Già la settimana scorsa su La Notizia raccontavamo la tendenza di Bruxelles a copiare il modello comunicativo di Giorgia Meloni: interviste senza contraddittorio, controllo del messaggio e riduzione degli spazi critici. Le vicende di queste settimane mostrano che quella lettura era tutt’altro che azzardata.
Una credibilità in bilico
La presidente affronta ora due mozioni di sfiducia al Parlamento europeo, mentre cresce il peso delle forze euroscettiche. In un contesto in cui l’Unione è chiamata a reggere scosse geopolitiche ed economiche, la debolezza comunicativa non è un dettaglio: è la prova di un assetto istituzionale che preferisce blindarsi invece di aprirsi.
L’errore non è solo di forma, ma di sostanza. Senza trasparenza e chiarezza, la Commissione rischia di perdere definitivamente l’egemonia del racconto sull’Europa, lasciandolo a chi lavora per smontarla.