Stop al gas russo: Bruxelles accelera, ma in Italia Salvini gioca sull’ambiguità del “realismo” energetico

L’Europa prepara la messa al bando totale del gas russo entro il 2027, ma i leghisti in Ue frenano e Salvini continua a evocare i costi

Stop al gas russo: Bruxelles accelera, ma in Italia Salvini gioca sull’ambiguità del “realismo” energetico

L’Unione europea ha aperto la fase decisiva verso l’uscita dal gas russo. Il Consiglio Energia discute un regolamento che prevede lo stop definitivo alle forniture entro il 2027, mentre il Parlamento Ue, dopo il voto congiunto delle commissioni Itre e Inta del 16 ottobre, chiede di anticipare il blocco già al gennaio 2026, con la dismissione totale di contratti e Gnl entro l’anno successivo. È una linea netta che punta a chiudere ogni scappatoia: vietare nuovi accordi, limitare l’uso dei terminali europei da parte di navi russe, rafforzare la tracciabilità dell’origine del gas e impedire l’uso degli stoccaggi comunitari come valvole di transito.

In questo scenario, l’Italia parte da una posizione di forza tecnica: il governo Meloni rivendica da mesi la “fine della dipendenza” energetica da Mosca, costruita attraverso diversificazioni con Algeria, Azerbaijan e Gnl globale. Ma proprio mentre i ministeri dell’Energia e degli Esteri sostengono ufficialmente la scadenza del 2027, la Lega di Matteo Salvini continua a muoversi su un terreno ambiguo: non contesta apertamente il phase-out, ma si incarica di raccontarlo come un rischio per le bollette e l’industria.

La doppia lingua: in Europa si vota, in Italia si ammicca

Al Parlamento europeo, i gruppi popolari, socialisti, verdi e liberali hanno sostenuto compatti l’anticipo della scadenza, approvando il mandato con 83 voti favorevoli, 9 contrari e un astenuto. La componente che si è opposta è collocata principalmente fra i gruppi sovranisti, dove siedono gli eurodeputati della Lega (oggi nel gruppo PfE). Nei documenti delle commissioni, fra i nomi elencati a sostegno della linea più dura non compaiono i rappresentanti leghisti. È un dato politico: il partito che in Italia siede al governo e beneficia della narrazione dell’indipendenza energetica non sostiene con convinzione l’uscita rapida dai flussi di Mosca quando si tratta di votare.

Sul piano delle dichiarazioni, Salvini mantiene un copione costante dal 2022: «Le sanzioni non possono fare più male agli italiani che ai russi», ha ripetuto in campagna elettorale e nei mesi successivi. Il messaggio è stato aggiornato ma non smentito: a settembre 2025, il vicepremier ha difeso la stretta di mano con l’ambasciatore russo Paramonov come «gesto di dialogo». Nessun riferimento all’uscita dal gas russo come obiettivo strategico europeo, nessuna parola di sostegno esplicito al bando del Gnl. L’accento resta sui “posti di lavoro” e sulla “fine dell’ideologia”.

Una minoranza rumorosa che pesa sul prestigio italiano

Il risultato è una discrasia: mentre l’Italia accetta formalmente i tempi della Commissione, l’azionista di governo lancia segnali che parlano a elettorati scettici sulle sanzioni. Il rischio non è solo simbolico. Se nei negoziati tecnici la delegazione italiana sostiene l’inclusione dei servizi portuali e degli stoccaggi nel bando, la minoranza interna contraria può diventare argomento per altri governi riluttanti, a partire da quello ungherese. E l’Europa che oggi tratta la chiusura delle falle normative ha bisogno di compattezza politica per reggere un contenzioso che includerà il controllo della “flotta ombra” e l’impatto sul prezzo del gas spot.

Salvini continuerà a presentarsi come garante di un “realismo energetico” contro i dogmi ecologisti. Ma mentre la Lega si accredita come voce scettica del governo italiano, l’Europa è già entrata nella fase del disaccoppiamento definitivo da Mosca. In questo scarto fra la fermezza istituzionale e il messaggio politico leghista si misura la distanza tra responsabilità di governo e nostalgia per zone grigie che non esistono più.