All’indomani dell’approvazione della manovra da parte del Consiglio dei ministri di venerdì 17 ottobre, la maggioranza si è accartocciata su sé stessa attorno al contributo sulle banche. Fratelli d’Italia lo chiama «donazione volontaria» e nega qualsiasi tassazione sugli extraprofitti. La Lega, pur esprimendo il ministro dell’Economia che ha scritto la misura, invoca una vera tassa “alla spagnola”. Forza Italia si dice disponibile a un contributo, ma «senza imposizioni». Tre linee inconciliabili all’interno di un governo che rivendica compattezza mentre si divide su nome, natura e intensità della stessa norma.
Il nemico perfetto, anche se l’hai firmato tu
Matteo Salvini attacca le banche con toni muscolari: «Per ogni lamentela un miliardo in più», sostiene dopo le critiche dell’Abi. Ma il documento contro cui spara è stato firmato dal suo stesso ministro, Giancarlo Giorgetti, e approvato all’unanimità in Cdm. Claudio Borghi rivendica che «il contributo l’ha scritto Giorgetti» e rilancia la battaglia parlamentare: «La manovra la approva il Parlamento, non il governo». La Lega vuole usare il gettito per cancellare l’aumento fiscale sugli affitti brevi, misura da 100 milioni prevista nella legge di bilancio e già rinnegata a 24 ore dalla firma.
In Fratelli d’Italia prevale la linea del raffreddamento. Dietro le quinte, però, il presidente della Commissione Finanze, Marco Osnato, punge il Carroccio: «Se la Lega ha qualcosa da dire, lo faccia con Giorgetti». Segnale di irritazione verso chi gioca su due tavoli, facendo opposizione interna su un testo già condiviso.
Forza Italia sceglie la posizione intermedia: sostiene che un contributo di sistema è accettabile ma non «punitivo», rivendicando il «patto di fiducia» negoziato dal Mef con gli istituti. Antonio Tajani, che difende le relazioni con l’industria bancaria, chiede metodo e gradualità, senza alzare i toni. Una postura che consente agli azzurri di marcare distanza dagli alleati senza rompersi, restando in equilibrio tra consenso elettorale e tenuta di governo.
Tra banche e Manovra, una maggioranza compatta solo davanti alle telecamere
L’ipocrisia diventa evidente quando lo scontro si sposta sui mercati: mentre i leader litigano sulla forza della misura, i titoli bancari aprono in rialzo, segno che gli operatori non temono un vero intervento sugli utili del settore. Se la tassa fosse credibile, i listini avrebbero reagito diversamente. La narrazione di uno scontro duro con gli istituti viene così smentita dai numeri, e appare più un esercizio retorico che un cambio di rotta economica.
Le opposizioni colgono la frattura e colpiscono. Francesco Silvestri (M5S) definisce la scena «il festival dell’ipocrisia», ricordando che l’anno scorso il governo ha incassato «zero euro» dalla precedente misura sugli extraprofitti. Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra) osserva che la Lega «fa opposizione al proprio esecutivo». Romano Prodi, ex presidente del Consiglio, parla di «profitti notevoli» che «possono contribuire in nome della solidarietà», prendendo le distanze sia dalla linea Salvini che da quella Tajani.
Martedì un vertice con Giorgia Meloni dovrà fissare una linea comune su platea, base imponibile e modalità di versamento. Ma il fatto resta: la maggioranza ha usato il sistema bancario come bersaglio simbolico per rinfrescare l’immagine di un governo sociale. Poi, il giorno dopo, ha iniziato a litigare su quanto colpirlo, come, e soprattutto su chi debba intestarsi la battaglia. Consenso unito davanti ai microfoni. Divisioni nette nel merito. Ed è sulla differenza tra le due cose che si misura la credibilità di chi governa.