Nel giorno in cui Trump e Xi si scambiano elogi per la “tregua riuscita”, a Gaza si contano altri 104 morti, tra cui 46 bambini, in 24 ore di bombardamenti. È la tregua celebrata nei palazzi: il 29 ottobre Washington parlava di «stabilizzazione» e oggi Axios rivela che gli Stati Uniti lavorano a una “forza internazionale” per gestire il dopoguerra, senza spiegare chi controllerà i territori né chi ricostruirà le case distrutte.
Sul terreno la realtà è opposta. Israele ha eretto quasi mille nuove barriere in Cisgiordania dall’inizio della guerra, secondo Peace Now e confermato dall’ANP. Ogni villaggio diventa un’isola, ogni spostamento un atto sospetto. E nel frattempo ottantuno soccorritori turchi restano fermi al valico di Rafah: Israele non ha ancora dato l’autorizzazione all’ingresso dei convogli medici.
A nord, nel Libano, un dipendente comunale è stato ucciso a Blida durante un nuovo attacco israeliano. Il presidente Michel Aoun ha ordinato all’esercito di «reagire a ogni incursione», mentre Hezbollah parla di «violazione della tregua». La missione ONU UNIFIL invita alla calma, ma ammette che la linea blu “non regge più”.
Nel frattempo, Haaretz diffonde un video di un detenuto palestinese torturato in un centro israeliano: l’IDF annuncia un’indagine “interna”, la prima in due anni.
E in Europa crescono le proteste contro le navi israeliane: a Corfù, cittadini bloccano l’approdo di una crociera; a Taranto, la USB denuncia l’arrivo della nave SeaSalvia con “un nuovo carico di morte”.
La guerra, intanto, cambia solo tono: meno visibile, più metodica. Mille barriere, convogli bloccati, prigionieri picchiati. È la pace come architettura dell’assedio.
