Non ci sono solo i piani multimiliardari per riarmarci fino ai denti a dimostrare che l’Unione europea non sta affatto marciando verso la pace, ma si sta attrezzando per la guerra. A Bruxelles è pronta una serie di iniziative, attese già il mese prossimo, per costruire una rete di trasporto militare europea capace di spostare rapidamente carri armati e artiglieria pesante da un capo all’altro dell’Unione in caso di conflitto. Lo scrive il Financial Times e lo conferma un rapporto sulla mobilità militare pubblicato dall’Euiss, l’istituto dell’Ue per gli studi sulla sicurezza.
La Commissione, insieme ai governi nazionali e alla Nato, sta disegnando un sistema che aumenti la prontezza militare del continente di fronte all’ipotesi, sempre evocata a Bruxelles, di un allargamento della guerra russa oltre l’Ucraina. Tre funzionari europei spiegano al quotidiano londinese che l’obiettivo è creare un “pool di solidarietà” di navi, treni e camion da mettere a disposizione degli Stati membri per trasferire in poche ore uomini e mezzi lungo le frontiere interne dell’Ue.
Se è logistica militare l’Ue non conosce burocrazia
Altro che lenta macchina burocratica: quando si tratta di logistica militare l’Europa accelera. Le discussioni sono ancora iniziali, ma la direzione è chiara: nelle prossime settimane la Commissione presenterà proposte per adattare infrastrutture, ponti, porti, linee ferroviarie e perfino procedure doganali, così da eliminare ostacoli e ritardi al transito di colonne militari all’interno dell’Unione.
Questo piano non nasce dal nulla. Fa parte dello sforzo, sempre più esplicito, di spingere l’Europa verso un’economia di difesa, anche sotto l’incoraggiamento di Washington, che chiede ai partner europei di pagare di più e di assumersi una parte maggiore del rischio strategico.
Non a caso la Germania, cuore logistico dell’Ue, ha già attivato accordi con la Deutsche Bahn Cargo e con Rheinmetall per supportare i convogli militari, mentre Lufthansa è pronta a occuparsi di manutenzione dei velivoli e addestramento dei piloti di caccia. Il settore civile messo al servizio di quello militare.
A marzo è stato presentato il rapporto Ue per resistere e prepararsi alle emergenze
Già a marzo la Commissione Ue di Ursula von der Leyen ha diffuso la “Strategia europea per l’Unione della preparazione”, un documento che, dietro il linguaggio ambiguo della “resilienza”, elenca una trentina di azioni che vanno dalla sensibilizzazione nelle scuole fino a forme di addestramento nelle famiglie. La narrativa è quella dell’allarme permanente.
Nel rapporto si sottolinea che l’Unione europea si trova ad affrontare crisi e sfide sempre più complesse che non possono essere ignorate, che comprendono la guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, crescenti tensioni e conflitti geopolitici, attacchi ibridi e informatici, la manipolazione delle informazioni, ingerenze straniere, i cambiamenti climatici e l’aumento delle catastrofi naturali. Tutto è emergenza. E se tutto è emergenza, tutto può essere militarizzato.
Il kit di sopravvivenza e gli ospedali di guerra
In questo quadro è stato rilanciato anche il video istituzionale sul kit per le prime 72 ore che tanto ha fatto discutere: documenti in busta impermeabile, torcia, acqua, cibo, contanti, coltellino multifunzione, radio. È la traduzione visiva di una stessa idea: la popolazione deve essere pronta, non solo gli eserciti.
A completare il quadro c’è la decisione di vari Stati membri, tra cui Francia, Germania e Italia, di predisporre gli ospedali ad accogliere fino a 250 feriti al giorno per struttura in caso di guerra.
“Dopo 70 anni l’Europa dovrà prendere in mano la propria sicurezza”, ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto sulla decisione degli Stati Uniti di richiamare una parte delle truppe americane dal fianco Est dell’Europa. E quando Commissione, governi nazionali e Nato lavorano insieme su logistica, trasporti e sanità d’emergenza, l’immagine che si manda è una: Bruxelles ci sta portando in un’economia di mobilitazione permanente.