Altra mazzata sul disastroso Decreto Sicurezza. Ieri infatti il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (Cgue) la norma sulla compatibilità del divieto sulle infiorescenze di canapa, “delineando un quadro che rafforza le ragioni della filiera agricola e del mercato interno”. Lo fa sapere l’associazione Canapa Sativa Italia (Csi), annunciando gli esiti del ricorso da lei presentato.
Gioisce la filiera della canapa
“È una vittoria per la filiera della canapa italiana – si legge in una nota della Csi -. La Corte di Giustizia Europea potrà disapplicare la normativa italiana confliggente con il diritto comunitario”. “E’ un passaggio decisivo – afferma Mattia Cusani, presidente dell’associazione -. Il Consiglio di Stato fotografa l’anomalia italiana e chiede alla Cgue se si possa davvero colpire solo le infiorescenze quando l’Ue non distingue tra parti della pianta e il Thc (il principio psicoattivo della pianta) è minimo. Per le imprese e i negozi significa una prospettiva concreta di serenità legale e di tutela della filiera, nel rispetto delle regole europee”.
Norma confliggente con il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea
“La Corte – dichiara il giudice nel testo – chiarisce che l’interesse resta attuale: il divieto sulle infiorescenze è ancora scritto nella 242/2016 come modificata, dunque la questione Ue va risolta e riguarderà anche il nuovo art. 18 del Dl sicurezza. Nel frattempo, i giudici nazionali hanno già gli strumenti per disapplicare le norme incompatibili con il Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea)”.
La canapa è un prodotto agricolo
“Credo che questa ordinanza – ha dichiarato da parte sua l’avvocato Giacomo Bulleri, che ha supportato il ricorso – abbia colto in pieno le criticità emerse negli ultimi 10 anni e che continuano a creare confusione attorno alla canapa. La questione in realtà è molto semplice: la pianta di canapa nella sua interezza (proveniente da varietà certificate e con basso tenore di Thc) è un prodotto agricolo, per cui la legge sugli stupefacenti non può trovare applicazione. Mi auguro che il giudizio dinanzi alla Corte Europea sia l’occasione per introdurre un doveroso discrimine in modo da cambiare definitivamente approccio alla questione, cioè smettere di criminalizzare una pianta e concentrarsi sulla qualità e sicurezza dei prodotti ottenuti in modo da poter sviluppare l’intero potenziale della filiera”.