Il caso Epstein inguaia Trump, via libera alla petizione che se approvata obbligherà l’amministrazione a pubblicare tutti i documenti

Il caso Epstein inguaia Trump, via libera alla petizione che obbliga l'amministrazione a pubblicare tutti i documenti

Il caso Epstein inguaia Trump, via libera alla petizione che se approvata obbligherà l’amministrazione a pubblicare tutti i documenti

Dopo che per mesi Donald Trump ha ostentato sicurezza negando ogni coinvolgimento nel caso di Jeffrey Epstein, il finanziere accusato di pedofilia e morto suicida in carcere il 10 agosto 2019, ora arriva una notizia che potrebbe complicare non poco il destino del presidente degli Stati Uniti. Contro ogni previsione, infatti, è stato raggiunto il numero di firme necessario per portare avanti una petizione che impone alla Camera degli Stati Uniti di votare una misura volta a costringere l’amministrazione Trump a pubblicare tutti i documenti in suo possesso sul caso Epstein, amico di vecchia data del tycoon.

La 218ª firma alla mozione è stata quella apposta dalla deputata democratica Adelita Grijalva, che ha prestato giuramento alla Camera dei Rappresentanti ieri sera, con settimane di ritardo a causa dello shutdown, definitivamente superato solo ieri. La Grijalva ha sorpreso tutti mettendo in atto, come primo atto ufficiale del suo mandato, la tanto attesa firma.

Ad annunciarlo su X (l’ex Twitter), con toni trionfalistici, è stato il deputato democratico Ro Khanna, promotore – insieme al repubblicano Thomas Massie – della misura ribattezzata Epstein Files Transparency Act.

Una petizione che ora, legge statunitense alla mano, dovrà essere analizzata e obbligatoriamente votata dalla Camera. A rivelarlo è stato lo stesso Khanna, secondo cui, per le norme americane, “i leader repubblicani della Camera non possono bloccare la petizione”.

I repubblicani fanno le vittime

Il caso Epstein, che sembrava finito in un cassetto, nel giro di appena due giorni è tornato prepotentemente alla ribalta. A riaccendere i riflettori sull’inchiesta è stata la pubblicazione, da parte di numerosi parlamentari democratici, delle e-mail in cui Epstein, grande amico del tycoon, scriveva che il presidente Trump aveva trascorso alcune “ore a casa mia” in compagnia di una ragazza.

Un’accusa pesante, finita in primo piano sul New York Times, a cui la Casa Bianca – attraverso la portavoce Karoline Leavitt – aveva immediatamente replicato, accusando i democratici di aver diffuso “selettivamente le e-mail ai media liberali per creare una falsa narrazione volta a screditare il presidente Trump”.

Una smentita che, tuttavia, non aveva convinto nessuno e che, forse, ha spinto i deputati – alcuni dei quali repubblicani – a portare a termine la petizione mirata a ottenere la pubblicazione integrale di tutto il carteggio relativo al caso, presente negli archivi del Dipartimento di Giustizia.

La richiesta verrà votata già la prossima settimana, come assicurato dallo speaker della Camera Mike Johnson, e, se dovesse passare e se dovessero emergere “file compromettenti”, potrebbe avere pesanti ripercussioni sul cammino politico di Trump.

L’affondo contro Trump di Mark, fratello di Jeffrey Epstein

Che il rapporto tra l’attuale presidente americano e il defunto finanziere – accusato di abusi, sfruttamento della prostituzione femminile e traffico di minori – sia stato solido e di lunga data è noto da tempo. Ma Trump ha sempre negato ogni coinvolgimento nei famosi festini che Epstein organizzava nella sua isola privata.

Una circostanza che, però, non convince Mark Epstein, fratello di Jeffrey, che in un’intervista a la Repubblica ha dichiarato molto chiaramente che “non mi sorprendono minimamente” le informazioni contenute nelle e-mail pubblicate dai democratici, da cui emergerebbe la piena consapevolezza del tycoon in merito a ciò che faceva l’amico finanziere.

Anzi, secondo Mark Epstein, quanto sta emergendo è “solo la conferma che Trump è un bugiardo quando dice che non conosceva e non frequentava mio fratello. Racconta una quantità incredibile di stronzate”.

Ma non è tutto. Il fratello del finanziere, oltre a dire che nessuno lo aveva “coinvolto nella ricerca e nella pubblicazione” delle lettere, ha colto la palla al balzo per rilanciare la sua ipotesi secondo cui Jeffrey non si suicidò, ma fu assassinato. “Spero e credo che queste nuove informazioni possano essere utili a chiarire le circostanze dell’omicidio di mio fratello.

Del resto – conclude Mark – non sono interessato al caso di Jeffrey sul piano dei dettagli di cosa aveva fatto, perché ormai lui è morto. Quello che invece mi interessa molto è chiarire le circostanze relative al suo omicidio”, aggiungendo che il finanziere “non aveva alcuna intenzione di togliersi la vita, voleva difendersi per scagionarsi, e io resto convinto che sia stato ucciso”.