Senato chiuso per elezioni regionali: la pausa record della maggioranza nel pieno della Manovra

Il Senato sospende l’Aula per le regionali di Campania, Puglia e Veneto proprio mentre parte la Manovra. La Camera, invece, lavora

Senato chiuso per elezioni regionali: la pausa record della maggioranza nel pieno della Manovra

Senato chiuso per elezioni. Nel calendario lavori pubblicato da Palazzo Madama c’è una frase che basterebbe da sola a raccontare la settimana: «L’Assemblea non terrà seduta questa settimana (17-23 novembre, ndr) in relazione alle elezioni regionali del 23 e 24 novembre. Il Senato torna a riunirsi martedì 25 novembre alle 16,30 per la discussione del ddl di conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2025 n. 146 recante disposizioni urgenti in materia di ingresso regolare di lavoratori e cittadini stranieri, nonché di gestione del fenomeno migratorio». Non è una nota politica, è un atto istituzionale. L’ultima seduta dell’Aula è dell’11 novembre; la prossima è fissata per il 25, direttamente sul decreto flussi.
Il punto non è l’assenza di commissioni – quelle lavorano, anzi, macinano audizioni sulla manovra come ricorda il dossier ufficiale della Commissione Bilancio del 30 ottobre – ma la scelta di spegnere proprio il luogo in cui il voto diventa legge.

Il Senato è la prima Camera sulla manovra 2026. Lo ricorda anche l’analisi di Pagella Politica pubblicata il 15 novembre: quando tocca a Palazzo Madama aprire la sessione, l’Aula storicamente resta attiva, anche nelle settimane più tese. Nel 2023 l’esame della legge di bilancio 2024 proseguì senza pause significative. Nel 2021 ci fu una sospensione lunga, ma senza elezioni in mezzo. Oggi, invece, si sommano le due cose: bilancio ed elezioni, nel momento più denso dell’anno parlamentare.

Il paragone con le altre regionali svela la distanza

Le regionali sono un elemento fisiologico, ma la durata della pausa non lo è. Pagella Politica ricostruisce che per Toscana e Calabria, a inizio ottobre, l’Aula si era fermata cinque giorni. Lo stesso per Valle d’Aosta e Marche a fine settembre. Mai due settimane piene, come adesso.

A differenza di allora, oggi si vota in Campania, Puglia e Veneto, tre regioni in cui la maggioranza si gioca equilibri interni e nazionali. Basta scorrere le cronache degli ultimi dieci giorni: Meloni in Veneto, Salvini nelle province simboliche della Lega, i ministri in tournée serrata.
La sospensione dell’Aula cade esattamente qui, con una puntualità che non richiede retorica per essere notata.

Il contrasto con la Camera accentua il quadro. Nel calendario di Montecitorio, nella stessa settimana, compaiono sedute pomeridiane e notturne sul decreto flussi e il testo condiviso che modifica l’articolo 609-bis del codice penale. Mentre il Senato abbassa le serrande, la Camera estende l’orario fino a mezzanotte. Non è il Parlamento che si ferma. È un ramo del Parlamento che decide di fermarsi per permettere alla politica di fare politica altrove.

La memoria corta della maggioranza

C’è una frase che torna a galla. Nella “Giornata parlamentare” del 3 maggio 2024, prodotta da Nomos Centro Studi Parlamentari, si legge che nella maggioranza era diffusa l’idea secondo cui «l’attività di governo non si può fermare per la campagna elettorale». Era vigilia delle europee: si pretendeva che il Parlamento restasse attivo, che i provvedimenti non fossero rallentati, che nessuno potesse accusare il governo di sfruttare il calendario per fare passerelle.

Un anno dopo, gli stessi partiti guidano il ramo del Parlamento che si ferma esplicitamente per la campagna. Nessun comunicato si preoccupa di mascherarlo: è scritto negli atti del Senato, nella motivazione che accompagna la settimana bianca dei lavori. La contraddizione non è un’opinione: è un documento.

Gli esempi non mancano. Nell’agosto 2020, come ricordava un’inchiesta di Repubblica, tra promesse di “niente ferie” e richiami all’emergenza, Camera e Senato chiusero comunque per diciotto giorni. Allora il centrodestra accusava l’esecutivo di “intermittenza istituzionale”. Oggi la stessa critica torna indietro, senza neanche bisogno di citare l’opposizione.

La fotografia è questa: Commissioni sotto pressione sulla manovra, Camera in seduta quasi continua, e Aula del Senato congelata nel momento in cui dovrebbe assumersi la parte più onerosa del lavoro legislativo. La spiegazione formale è legata alle elezioni; quella sostanziale è la scelta politica di mollare il Parlamento per presidiare i territori.

In un governo che usa spesso la parola “efficienza” come marchio identitario, la pausa del Senato diventa il contrappunto più eloquente. Perché le campagne elettorali finiscono, ma i vuoti del Parlamento si contabilizzano nei provvedimenti compressi, nelle fiducie annunciate e nelle discussioni che dovranno correre per recuperare ciò che oggi si è deciso di fermare.