“Israele vuole destabilizzare la Siria ma così si rischia la ripresa delle ostilità in tutto il Medio Oriente”. Axios riporta le accuse dell’amministrazione Trump a Netanyahu

"Israele destabilizza la Siria ma così si rischia la ripresa delle ostilità in Medio Oriente". Axios riporta le accuse di Trump a Netanyahu

“Israele vuole destabilizzare la Siria ma così si rischia la ripresa delle ostilità in tutto il Medio Oriente”. Axios riporta le accuse dell’amministrazione Trump a Netanyahu

Davanti alla fragile tregua nella Striscia di Gaza – che appare più formale che sostanziale – e alle operazioni delle Idf in Libano e in Siria, che proseguono da settimane, negli Stati Uniti cresce il timore di una possibile ripresa delle ostilità in tutto il Medio Oriente. A sostenerlo è l’ultimo scoop del portale statunitense Axios, secondo cui l’amministrazione di Donald Trump “teme che i ripetuti attacchi di Israele in Siria rischino di destabilizzare il Paese e di minare le possibilità di un accordo di sicurezza tra Israele e Siria”.

A rivelarlo al quotidiano americano è un funzionario Usa che ha chiesto l’anonimato, affermando che “Bibi (Benjamin Netanyahu, ndr) vede fantasmi ovunque. Stiamo cercando di dirgli che deve fermarsi perché, se continua, si autodistruggerà”.

I mal di pancia degli Usa

Che non si tratti di mere indiscrezioni di stampa e che i timori degli Stati Uniti siano concreti, soprattutto per quanto riguarda la crescente tensione con la Siria, lo si capisce dall’appello del presidente Trump che, ieri sera sui social, in modo inatteso, ha lanciato un messaggio a dir poco esplicito a Netanyahu. Nel messaggio il tycoon ha affermato che è “molto importante che Israele mantenga un dialogo forte e sincero con la Siria e che non avvenga nulla che possa interferire con lo sviluppo della Siria in uno Stato prospero”.

Sempre secondo Axios, per l’amministrazione Usa è evidente che Netanyahu “starebbe interferendo in modo del tutto inutile”, ordinando diverse operazioni militari “oltre confine in Siria” che rischiano di riaccendere la miccia del conflitto. Difficile dar loro torto, visto che venerdì scorso si è verificato un vero e proprio “caso”, con militari israeliani entrati in territorio siriano per eseguire alcuni arresti e poi attaccati da uomini armati. Ne è seguito uno scontro a fuoco in cui sono rimasti feriti sei soldati. Quando la situazione si è calmata, le truppe di Tel Aviv – nel tentativo di evitare guai peggiori – hanno iniziato a ritirarsi, mentre l’aviazione israeliana li ha coperti con una serie di attacchi in cui hanno perso la vita almeno tredici siriani, molti dei quali civili.

Il polverone mediatico

Un’operazione in territorio siriano che ha inevitabilmente scatenato un polverone e che la comunità internazionale ha condannato. Immediata la replica delle autorità israeliane, che hanno giustificato la missione affermando che “le persone arrestate in Siria facevano parte di un gruppo affiliato ad Hamas e Hezbollah” e che stavano pianificando “attacchi contro Israele”. Una ricostruzione che le fonti americane sentite da Axios hanno messo in dubbio, sottolineando che “Israele non ha informato la Casa Bianca prima di lanciare l’operazione e non ha avvertito la Siria attraverso i canali militari, come fatto in passato”.

La cosa peggiore, secondo Axios, è che nell’amministrazione Trump cresce la rabbia perché la Siria, con cui Washington ha recentemente stretto una serie di patti economici, “non vuole problemi con Israele. Non è il Libano, ma Bibi vede fantasmi ovunque, e noi stiamo cercando di fargli capire che deve fermarsi”, altrimenti “perderà un’enorme opportunità diplomatica e trasformerà il nuovo governo siriano in un nemico”.

La telefonata infuocata tra Trump e Netanyahu

Ulteriore conferma della distanza strategica e politica tra Usa e Israele è la telefonata avvenuta tra Trump e Netanyahu. Una conversazione in cui, secondo indiscrezioni di stampa, non sarebbero mancati momenti di tensione, con il tycoon che in più occasioni avrebbe alzato la voce con Bibi proprio in relazione agli attacchi nella Striscia, in Libano e soprattutto in Siria.

Una versione che, però, è stata smentita dall’Ufficio del primo ministro israeliano, secondo cui nella conversazione “i due leader hanno sottolineato l’importanza e l’obbligo di disarmare Hamas e smilitarizzare la Striscia di Gaza”, per poi discutere “dell’ampliamento degli accordi di pace”. Una telefonata che, però, sembra aver prodotto ben pochi effetti, perché nemmeno 24 ore dopo, come riferito da SyriaTV, i jet israeliani hanno effettuato ripetuti sorvoli sui cieli di Damasco, considerati dagli esperti militari un ulteriore avvertimento al governo siriano guidato dall’ex jihadista Ahmad Sharaa, al potere da un anno.

La Cisgiordania si infiamma

Nel frattempo, mentre le trattative diplomatiche per la seconda fase del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza restano bloccate – tanto che tra i mediatori di Qatar ed Egitto cresce il pessimismo e si considera sempre più concreta la ripresa delle ostilità – a destare allarme è il continuo aumento delle violenze in Cisgiordania. Oltre alle aggressioni dei coloni contro i palestinesi – spesso con la complicità delle Idf, che tendono a chiudere un occhio – la situazione sta precipitando.

L’ultimo episodio è avvenuto dopo l’ennesima “operazione di polizia” delle Idf, a cui è seguito l’attacco di un palestinese che, a Hebron, si è scagliato con la propria auto contro alcuni militari israeliani, ferendone uno. I soldati hanno poi aperto il fuoco, uccidendo l’uomo.

Poche ore dopo, vicino all’insediamento di Ateret, sempre in Cisgiordania, due soldati israeliani sono stati accoltellati riportando ferite lievi mentre stavano controllando una persona sospetta. L’attentatore, nel tentativo di fuggire, è stato ucciso da numerosi colpi sparati dalle truppe delle Idf.