La Sveglia

Si scava tra le macerie e ciò che rimane di Gaza

Fra pale, polvere e bulldozer in azione si scava tra le macerie e tra quel poco che è rimasto di Gaza.

Si scava tra le macerie e ciò che rimane di Gaza

A Gaza le squadre della protezione civile scavano tra le macerie delle case colpite, recuperano i resti di famiglie sepolte sotto muri che avevano ancora un indirizzo. La casa degli Abu Ramadan, che ospitava decine di persone, è diventata un cumulo di cemento e silenzio. È il lessico della fine che convive con l’annuncio della pausa.

Intanto la mappa si allarga. A nord-est di Qalqilya, a Jayyous, bulldozer e mezzi militari abbattono serre e strutture agricole. Plastica strappata, colture schiacciate, un’economia domestica cancellata in poche ore. La Cisgiordania entra nel racconto come un fronte parallelo, dove la guerra prende la forma dell’amministrazione della terra e della punizione collettiva.

A Gaza si discute di “fasi”, di condizioni, di disarmo e di garanzie. Le parti si accusano a vicenda di violazioni, si contano i morti, si annunciano funerali e nuove nomine militari. La tregua diventa un campo di battaglia semantico: dichiarata, contestata, sospesa. Nel frattempo Rafah resta strozzata, i valichi diventano argomento di scontro diplomatico, la vita quotidiana rimane appesa a decisioni prese altrove.

Sul tavolo internazionale scorrono cifre che fanno tremare: quartieri distrutti, infrastrutture annientate, decine di miliardi stimati per una ricostruzione che ancora non ha un perimetro politico. Mentre si scavano le macerie, altrove si preparano dossier, proposte, appetiti. La guerra produce rovine e, insieme, opportunità.

Dall’Italia arrivano appelli alla de-escalation, rivendicazioni di aiuti, corridoi umanitari, disponibilità dentro cornici multilaterali. Parole necessarie, che però faticano a tenere il passo con le immagini di oggi. Perché la tregua, quando esiste davvero, smette di essere un annuncio e diventa una pratica. Qui, per ora, restano le pale, i bulldozer e la polvere.