La Sveglia

A 45 anni dal delitto Impastato la retorica politica dimostra che l’Antimafia è stanca

Fiumi di ipocrisia su Peppino Impastato. Se l'attivista che sfidò Badalamenti fosse ancora vivo gli darebbero del manettaro.

A 45 anni dal delitto Impastato la retorica politica dimostra che l’Antimafia è stanca

L’antimafia è stanca e si vede. A 45 anni dall’omicidio di Peppino Impastato scorrere le dichiarazioni e i post sui social in memoria dell’attivista politico che si ribellò alla mafia in famiglia e che additò come mafioso il boss di Cinisi Tano Badalamenti mentre i suoi concittadini lo servivano è un buon termometro per misurare l’anestetizzazione.

Fiumi di ipocrisia su Peppino Impastato. Se l’attivista che sfidò Badalamenti fosse ancora vivo gli darebbero del manettaro

A Peppino non è andata bene nemmeno da vivo. Nel giorno in cui il suo corpo venne ritrovato straziato dal tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani le telecamere e i microfoni di tutto il mondo erano puntati sul ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani. Non fu difficile far scivolare quel caso di cronaca locale in fondo alle pagine dei giornali, là dove si accennava a un bombarolo anarchico e pazzo a cui era scoppiata la bomba in mano.

Quarantacinque anni dopo la verità giudiziaria ci consegna una memoria che ieri avremmo potuto praticare e su cui la politica avrebbe potuto interrogarsi. Peppino Impastato ucciso da Cosa nostra per mano di Vito Palazzolo su ordine di Gaetano Badalamenti è stato straziato per anni anche dallo Stato. Lo dice la relazione della Commissione parlamentare antimafia del 2000 e l’avrebbe voluto dimostrare l’inchiesta archiviata nel 2018 perché furono prescritte le accuse di favoreggiamento a Cosa Nostra, falso ideologico e concorso in reato per l’allora maggiore dei carabinieri Antonio Subranni (poi promosso a generale e comandante del Raggruppamento Operativo Speciale), per l’allora brigadiere Carmelo Canale e gli allora marescialli Francesco Di Bono e Francesco Abramo.

L’antimafia sveglia avrebbe notato un particolare: nel 45esimo anniversario della morte di Peppino Impastato il depistaggio è una piega della storia che vale la pena dimenticare e la Commissione Antimafia è un vezzo parlamentare a cui la maggioranza di governo non ha avuto il tempo di dedicarsi, impegnata com’è a estirpare la terribile piaga dei rave party e degli amori che ai governanti non piacciono.

L’antimafia è stanca e si vede. Anche ieri la figura di Peppino Impastato è stata vittima dell’iconizzazione utile a tacerne il senso. Sui social dei rappresentanti politici un profluvio di post con immagine annessa hanno dipinto Peppino come uno stralunato artista incappato in una storia più grande di lui. Significativo, come ogni anno l’errore comune di citare tra virgolette frasi mai dette da Impastato, estrapolate dal film che parla di lui. Anche ieri hanno commemorato un film scambiandolo per la storia che avrebbero voluto omaggiare.

Così il Peppino Impastato scomodo scompare, ancora una volta. Scompare l’attivista politico, il consigliere comunale di Democrazia Proletaria eletto anche da morto, l’uomo che credeva nella mobilitazione per ottenere salari dignitosi, il cittadino che già sapeva come il cemento fosse una mangiatoia per le mafie e le collusioni. Oggi Peppino Impastato, se fosse oggi qui, sarebbe considerato un manettaro, un calunniatore. Oggi si sprecherebbero gli articoli contro il suo giustizialismo verso Tano Badalamenti che invece era uomo incensurato e rispettato. Ricordare Peppino come icona fa comodo a molti: ai depistatori, agli intrallazzatori con la mafia, a quelli che non si mobilitano più, a quelli che “la mafia non c’è più”, a coloro che raccontano quell’epoca come se non avesse lasciato figli sporchi nella classe dirigente attuale. Oggi gli direbbero: “Si occupi di radio, lasci perdere la politica”.

Per questo lo commemorano disinfettandolo il più possibile. L’antimafia è stanca e si vede, anche se qualche stimolo prova a farsi sentire. Ieri il Partito democratico ha deciso di ritirare il proprio appoggio al sindaco Giuseppe Castiglione di Campobello di Mazara dove il boss dei boss Matteo Messina Denaro ha vissuto indisturbato per 30 anni come un baby pensionato leggero nonostante i morti sulla coscienza. Il sindaco si era battuto per difendere l’onorabilità sua e del suo comune. Fu appoggiato da un deputato poi arrestato per mafia e un’intercettazione diceva “la massoneria è con lui”. L’antimafia è stanca e si vede.