A 50 anni dall’attentato di Piazza Fontana regge ancora il mistero. Una pagina tragica della nostra storia. Ma anche un fallimento per la Giustizia

“Il 12 dicembre 1969 una bomba scoppia all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano provocando 17 morti e 88 feriti. Considerata la “madre di tutte le stragi”, di fatto aprirà quella stagione molto tormentata della nostra storia recente, comunemente identificata nell’espressione “anni di piombo”. Anni in cui si sparava, appunto: nel giro di qualche mese si passa dal movimento sessantottino, controculturale, anticonformista e rivoluzionario ma sostanzialmente non eversivo e con un carattere di protesta anche creativa, alla strategia della tensione, alle violenze di piazza, alla lotta armata e a veri e propri atti di terrorismo. Perché di questo si trattò quel giorno di 50 anni: il primo atto di una strategia eversiva molto più ampia e ispirata a un sistematico disegno criminale.

Solo quel giorno gli attentati terroristici furono cinque, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti e colpirono contemporaneamente Roma e Milano, le due maggiori città italiane. A Roma ci furono tre attentati che provocarono 16 feriti, uno alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, uno in Piazza Venezia e un altro all’Altare della Patria; a Milano, una seconda bomba venne ritrovata inesplosa in piazza della Scala. Tutto il 1969 fu un anno denso di contestazioni, alle proteste studentesche e alle lotte dei lavoratori per i rinnovi contrattuali, con forti contrasti nei posti di lavoro e nelle fabbriche – il cosiddetto “autunno caldo” – e a un’estremizzazione della dialettica politica si aggiunsero le stragi, che contribuirono a far precipitare un clima già agitato, di insicurezza e pericolo.

Fu un crescendo: il livello dello scontro si alzò sempre di più e, mentre per gli attentati vengono accusate persone che poi si riveleranno estranee, qualcuno cominciò a parlare di “stragi di Stato”; per alcuni gli anni di piombo sono gli anni del terrorismo di sinistra, per altri dell’eversione di destra con l’ideazione e la messa a punto di atti terroristici da attribuire agli anarchici o ai comunisti volti a diffondere fra la gente uno stato di tensione e di paura tali da far giustificare o auspicare svolte politiche di stampo autoritario. Al di là del fine, l’obiettivo fu comunque raggiunto: destabilizzare la situazione politica italiana colpendo cittadini inermi, vittime casuali la cui unica “colpa” era quella di trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato.

Una banca, un treno, una piazza, una stazione. Orrore e indignazione, processi, condanne, assoluzioni e piste sbagliate: di fatto le stragi di quegli anni, al di là delle cerimonie di commemorazione, hanno rappresentato un fallimento quasi completo dell’attività giudiziaria, compresa la strage di Piazza Fontana. Nel giugno 2005 la Corte di Cassazione ha stabilito che fu opera di un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di “Ordine nuovo”, un gruppo politico di estrema destra extraparlamentare nato nel dicembre 1969 e capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura, non più perseguibili in quanto precedentemente assolti con giudizio definitivo dalla Corte d’assise d’appello di Bari. E gli esecutori materiali, cioè coloro che portarono la valigia con la bomba sono ancora oggi ignoti.