Malgrado il crescente pessimismo, quella odierna sarà una giornata decisiva per cercare di salvare la tregua nella Striscia di Gaza. Al Cairo, infatti, oggi è prevista una nuova tornata di negoziati per raggiungere un accordo tra Israele e Hamas che, a pochi giorni dalla scadenza della tregua, porti alla seconda fase del cessate il fuoco.
Sul tavolo c’è la proposta mediata dagli Stati Uniti, che ha ottenuto il benestare del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il piano prevede un prolungamento della prima fase di 60 giorni, escludendo categoricamente il ritiro delle truppe dell’IDF dall’enclave palestinese, in cambio della liberazione di 10 ostaggi israeliani e della restituzione delle salme dei prigionieri caduti durante i quindici mesi di guerra a Gaza.
Si tratta di una proposta che Hamas non considera accettabile, ritenendo che un’intesa al ribasso non sia utile e che non esista alternativa all’avanzare nella fase 2 del piano di pace, concordato con Netanyahu a gennaio. Tale fase dovrebbe stabilizzare l’attuale tregua – rendendola di fatto definitiva – e consentire il rilascio degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, in cambio del contestuale rilascio di centinaia di detenuti palestinesi.
A Gaza torna una flebile speranza di pace con la ripresa al Cairo dei negoziati
In vista di questo decisivo round negoziale, ieri il ministro egiziano degli Esteri, Badr Abdelatty, ha avuto una conversazione telefonica con l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, nel tentativo di trovare una linea comune da seguire durante le trattative.
Secondo fonti diplomatiche, Abdelatty ha cercato di convincere Witkoff della validità del piano di pace egiziano per Gaza, che – a differenza di quello statunitense – esclude categoricamente la deportazione dei civili palestinesi e pone l’accento sulla ricostruzione dell’area. Per rafforzare la sua posizione, Abdelatty ha sottolineato come vi sia una “piena convergenza araba” sul “piano di ricostruzione di Gaza”. Tuttavia, Witkoff, pur riconoscendo che la proposta egiziana presenta “alcuni spunti interessanti”, ha ribadito che, almeno per il momento, la posizione degli Stati Uniti non è destinata a cambiare.
Non si arresta la spirale d’odio
Senza il supporto americano, il piano egiziano sembra destinato al fallimento, così come appare improbabile un ripensamento di Hamas, che accetti il prolungamento della fase 1 per sessanta giorni senza garanzie di una pace definitiva.
Di fronte a questo evidente stallo nei negoziati, il ritorno ai combattimenti nella Striscia di Gaza appare sempre più probabile. In realtà, nonostante la tregua, gli scontri non si sono mai completamente fermati e, anzi, proseguono da giorni in quella che Hamas definisce “un’escalation” da parte di Israele.
L’ultimo episodio si è verificato ieri, quando un drone israeliano ha colpito Gaza City, causando un morto e decine di feriti. L’attacco ha scatenato l’ira del movimento palestinese, che ha avvertito Netanyahu: “Nuovi attacchi israeliani a Gaza metteranno in pericolo la vita degli ostaggi ancora nella Striscia”.
Ma Israele non si sta limitando ai soli “attacchi mirati”. Secondo il portavoce di Hamas, Abdel-Latif al-Qanou, ormai da sei giorni Israele ha chiuso illegalmente tutti i valichi da cui transitano gli aiuti umanitari destinati alla popolazione, con il preciso scopo di “affamare” i civili e attuare “una punizione collettiva”.