A Milano carceri da terzo mondo. Curarsi è un’utopia

Le quattro carceri della città metropolitana di Milano ospitano in totale 3.726 detenuti. Ma curarsi negli istituti è un'utopia.

A Milano carceri da terzo mondo. Curarsi è un’utopia

Per le quattro carceri della città metropolitana di Milano (San Vittore, Opera, Bollate e il minorile Beccaria), che ospitano in totale 3.726 detenuti, il rapporto tra infermieri e reclusi è di 1 a 200 durante il giorno e di 1 a 600 durante la notte. Il dato è stato reso noto nel corso di un incontro tra le Rsu dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, dove è attiva la struttura complessa “Direzione coordinamento carceri” alla quale afferiscono le quattro strutture di detenzione, e le commissioni Sanità e Carceri, riunite in seduta comune, di Regione Lombardia.

Le quattro carceri della città metropolitana di Milano ospitano in totale 3.726 detenuti

Il referente Rsu Andrea Pinna ha parlato di un “disagio ormai schiacciante” che induce molti infermieri ad abbandonare e scegliere di andare a lavorare altrove. Mediamente un professionista che lavora nelle carceri svolge annualmente duecento ore di straordinario all’anno ed è soggetto a massacranti turni aggiuntivi che, secondo Pinna, sarebbero finanziati anche con i fondi destinati all’abbattimento delle liste di attesa.

Curarsi negli istituti di pena milanesi è un’utopia

“Avremmo voluto darvi il numero di pazienti reclusi ma questo dato non ci è stato fornito. Riteniamo che a oggi l’Asst Santi Paolo e Carlo non conosca il numero esatto di detenuti-pazienti”, ha aggiunto Pinna, che ha lamentato il muro innalzato dalla stessa azienda sanitaria di fronte alla richiesta “di avere dati precisi sul personale impiegato all’interno di questa realtà”. Richiesta bocciata perché, secondo l’Asst, “non era stata ben circostanziata”. Il problema per i sindacati è anche che l’azienda socio-sanitaria considera tutti i detenuti bisognosi di cure come pazienti ambulatoriali, quando le “quattro realtà sono molto diverse per tipologia di reclusi e tipologia, perché si va dagli anziani di Opera che sono al 41 bis ai minori ristretti al Beccaria”.

“Recentemente l’assistenza alla palazzina Sai di Opera, con circa 98 pazienti più complessi, è stata esternalizzata a una cooperativa. Abbiamo personale ingaggiato con contratti atipici che lavora insieme a dipendenti della Asst con forte turnover e senza continuità. Varrebbe poi la pena verificare la presenza e il numero di medici, per la quasi totalità liberi professionisti: ci è stato segnalato che sembrerebbero esserci “fogli terapia“ di alcuni reclusi non aggiornati da anni”, ha proseguito Pinna.

La situazione peggiora di notte quando negli istituti di pena milanesi c’è solo un operatore ogni 600 reclusi

Col rapporto di un infermiere ogni 200 detenuti nella fase diurna del turno, e di 1 ogni 600 nella fase notturna, “ci chiediamo”, ha detto ancora il referente Rsu, “cosa succede dentro le mura: la terapia viene somministrata o semplicemente distribuita? Non possiamo sapere con certezza se il paziente detenuto la prende, la butta, la vende o se la mette da parte per un successivo uso massivo, soprattutto nel caso di antipsicotici”. Citando un’inchiesta di Altreconomia secondo la quale a San Vittore e Opera ci sarebbe un consumo di psicofarmaci cinque volte superiore a quello della popolazione generale.

“Ve lo dico da infermiera: immaginare di poter tenere in piedi un servizio con un infermiere ogni 200 detenuti, significa mettere in difficoltà l’infermiere stesso, perché la somministrazione dei farmaci dovrebbe essere sorvegliata, ma da soli è difficile. E se succede qualcosa la responsabilità, quindi la colpa, è sua, non di chi lo ha mandato allo sbaraglio. Perciò, da un lato va affrontato urgentemente il tema dei servizi per la salute nelle carceri, dall’altro non bisogna maltrattare gli infermieri: dobbiamo trattenerli, non cacciarli via”, il commento di Carmela Rozza, consigliera regionale del Pd.