In Italia si resta a casa dei genitori fino a trent’anni, come se la giovinezza fosse un contratto a tempo indeterminato. I numeri li mette in fila Lorenzo Ruffino: quattro anni sopra la media europea, peggio di noi solo Croazia, Slovacchia, Grecia e Spagna. Altrove si esce di casa a ventidue anni, qui si tira avanti, ostaggi di stipendi da fame e di un mercato del lavoro che ti fa il favore di assumerti.
Tra i venticinque e i ventinove anni si guadagnano in media 1.200 euro netti al mese, tra i trenta e i trentaquattro si arriva a malapena a 1.390. La soglia dei 1.500 euro si supera solo dopo i quaranta, come se fosse un premio per la sopravvivenza. E intanto si vive con mamma e papà, perché trovare un affitto dignitoso con quei soldi significa scegliere tra il letto e il frigorifero.
Ma la crudeltà vera sta nei numeri che non cambiano mai. Ruffino lo mostra: negli ultimi vent’anni la percentuale di giovani che vive con i genitori è rimasta la stessa. Fermi, inchiodati. Un intero paese che ripete la stessa storia, come una condanna.
Ogni volta si tira fuori la cultura, il legame familiare, le radici. È solo un modo elegante per nascondere il fallimento economico. In Finlandia, in Svezia, in Germania non amano meno le famiglie: possono solo permettersi di viverne fuori. Qui si resta perché non si ha scelta. E si invecchia in camera propria, con le mensole di quando si era bambini.
Il 63% delle persone tra i diciotto e i trentaquattro anni vive ancora a casa. Dio, patria e famiglia, dicono. Dio è una clava contro gli avversari, la patria è il circolino degli amici e la famiglia è il rifugio obbligato di uno Stato fallito.