Ad Avellino un leghista eletto con i voti del clan. Il consigliere Genovese è figlio di un boss al 41 bis. Al telefono diceva al padre: Ho vinto, stiamo al Comune

Ho vinto, stiamo al Comune. A parlare è Damiano Genovese (nella foto), appena eletto consigliere comunale ad Avellino con la Lega, durante un colloquio in carcere a Voghera con il padre, il boss Amedeo Genovese, condannato all’ergastolo e in regime di 41-bis. In quel dialogo, intercettato nel 2018, c’è l’essenza dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ieri ha portato i Carabinieri e la Guardia di finanza ad eseguire 14 arresti, tra cui quelli dello stesso ex esponente del partito di Matteo Salvini in Campania, e il sequestro di cinque società. In Comune infatti, secondo gli inquirenti, con l’elezione del locale leader del Carroccio non sarebbe andato un politico deciso ad operare per il bene della sua città, prendendo le distanze dall’eredità paterna, ma la stessa camorra, che avrebbe convogliato voti sul leghista per poter poi fare affari.

IL CASO. Il nuovo clan Partenio, secondo gli inquirenti, due anni fa ostacolò il libero esercizio del voto, procurando preferenze per Damiano Genovese, finito ieri in carcere, e per Sabino Morano, avvocato ed ex segretario provinciale della Lega, autosospeso e indagato a piede libero dalla Dda di Napoli. Il clan, secondo i pm Henry John Woodcock, Simona Rossi e Luigi Landolfi e come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Fabrizio Finamore, avrebbe inquinato le elezioni ad Avellino e Morano avrebbe accettato la promessa di voti fatta dai capiclan Pasquale e Nicola Galdieri, anche attraverso Genovese. E come contropartita avrebbe dovuto soddisfare, sostiene il giudice per le indagini preliminari, “gli interessi e le esigenze del clan e dei suoi membri”.

A partire dal mantenimento di un centro pugilistico gestito dalla camorra in una scuola del capoluogo irpino. L’organizzazione criminale in tal modo si sarebbe garantito l’accesso “alla cabina di regia delle scelte operate dalla pubblica amministrazione in materia urbanistica ed edilizia”. L’imprenditrice Livia Forte, insieme al fratello Modestino, sempre secondo gli investigatori, assoggettavano invece alle volontà della camorra le loro vittime, i proprietari degli immobili messi all’asta, approfittando del loro stato di necessità e facendo così affari insieme ad Armando Pompeo Aprile, noti ad Avellino come “i tre-tre”. Per gli arrestati sono state quindi formulate le accuse, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, scambio elettorale politico-mafioso, turbata libertà degli incanti, falso, truffa, riciclaggio e trasferimento di valori.

Le società sequestrate sono cinque – la Lara Immobiliare srl, con sede a Roma, la Punto Finance srl, con sede sempre a Roma, la Rinascimento Italiano, con sede ad Anzio, l’Arca di Noè, con sede a Serino, e la Nuvola, con sede ad Avellino, con un patrimonio composto da 59 fabbricati e 26 terreni, stimato in quattro milioni di euro. Genovese sembra sognasse ad Avellino una giunta gialloverde. La Lega era stata sconfitta. Avevano vinto i 5 Stelle, eleggendo sindaco Vincenzo Ciampi, attuale consigliere comunale pentastellato. “Ma non hanno la maggioranza”, spiegava il neoconsigliere al padre boss. “Hanno 5 consiglieri e quindi chiamano noi”, aggiungeva. Le cose non sono andate però come prevedeva Genovese. Gli accordi con i 5S non sono arrivati e, dopo le accuse fatte in aula consiliare dallo stesso leghista al sindaco pentastellato, la giunta M5S di Ciampi, essendo priva di maggioranza, è crollata nell’arco di appena cinque mesi.