Agnoletto: “Meloni nel solco di Draghi. Un disastro equiparare sanità pubblica e privata”

Parla Vittorio Agnoletto, medico del direttivo nazionale di Medicina democratica: "Il Servizio nazionale è sottofinanziato".

Agnoletto: “Meloni nel solco di Draghi. Un disastro equiparare sanità pubblica e privata”

Sono arrivati al governo e hanno falciato il rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil che si è contratto passando dal 6,9 per cento del 2022 al 6,7 per cento. Questo è solo l’inizio. La volontà di tagliare è evidente, con una riduzione nei prossimi anni di oltre 3,3 miliardi di euro: il governo ha indicato nel Def che a partire dal 2026 la spesa scenderà ancora fino al 6,2 per cento.

Vittorio Agnoletto, medico del direttivo nazionale di Medicina democratica, ci dica la verità era prevedibile?
“Io credo che sia corretto dire le cose come stanno: questo governo per la sanità si è inserito nel percorso indicato dal governo Draghi. Quel governo prevedeva il 6,3%. Il governo Meloni è andato avanti con un ulteriore taglio. Purtroppo l’idea di non finanziare il Servizio sanitario nazionale (Ssn, ndr) nasce da lontano. Le recenti stime internazionali ci dicono che per portare il finanziamento della sanità italiana in termini percentuali nella media dell’Europa occidentale servano altri 50 miliardi”.

Qual è lo stato dell’arte della sanità italiana?
“Partiamo da un dato. La spesa sanitari privata 2022 è attorno ai 38 miliardi. Parliamo di una spesa fatta dai cittadini. Questo cosa significa? C’è un sotto finanziamento pesantissimo del Ssn che obbliga i cittadini per curarsi a ricorrere al proprio portafoglio oppure a rinunciare a curarsi. Su quanti siano che hanno rinunciato alle cure ci sono stime molto diverse: la più rosea parte da 4 milioni ma si arriva a 11 milioni di italiani che avrebbero rinunciato a curarsi. La sanità italiana ha subito un taglio pesantissimo, negli ultimi 20 anni sono circa 36 miliardi di euro. Tutto questo ha dato uno spazio enorme alla sanità privata”.

A scapito della sanità pubblica?
“Sì perché da un parte si è sviluppata la sanità privata ma dall’altra parte – e contemporaneamente – il servizio sanitario ha aperto le porte ai privati con accreditamento nelle varie regioni. Inizialmente avrebbe dovuto essere un’eccezione, perché il Ssn deve fornire tutto quanto previsto dai Lea, i livelli essenziali di cure, visite e esami a cui hanno diritto tutti gli italiani. In via eccezionale dove il Ssn non riesce a fornire tutti i servizi accetta l’accreditamento di strutture private decidendo quali strutture servano, in quale campo e con quale ruolo e per quanto tempo.Noi invece siamo arrivati in una situazione dove la punta dell’iceberg è la Lombardia che indica la direzione: Il Ssn accredita chiunque lo chieda senza studio sui bisogni reali”.

E questo cosa comporta?
“Quindi si crea una concorrenza tra privato e pubblico, dove il privato decide in cosa accreditarsi, sceglie gli ambiti più remunerativi in termini di profitto. Quindi no pronto soccorsi, no dipartimenti emergenza, sì a esempio alle patologie croniche. In più il privato non deve rispettare tutti i vincoli del pubblico, come le gare per gli acquisti o i contratti nazionali. Così il pubblico ha portato dentro di sé il privato che cammina sulle gambe del pubblico. Il pubblico fornisce i servizi più costosi dovendo rispettar le regole”.

E poi?
“Poi il tutto precipita quando chi gestisce il pubblico dal punto di vista delle politiche manageriali applica al pubblico obiettivi e regole di finanziamento del privato, che sono antagoniste. Non dimentichiamo che il privato che investe in sanità investe come negli altri settori, con l’obiettivo di raggiungere un profitto. Ma in sanità il profitto lo raggiunge sulle malattie e sui malati, non sulla salute. Più lavora bene la prevenzione e meno il privato guadagna perché guadagna solo sulla cura. Il pubblico invece più investe nella prevenzione più guadagna, cioè risparmia. Non c’è nessun settore dove pubblico e privato hanno obiettivi contrapposti”.

Ma in Lombardia il presidente Fontana dice che vengono da tutta Italia a curarsi…
“È vero ce arrivano in Lombardia per farsi curare, ma non per le visite, solo per interventi chirurgici complicati o terapie oncologiche. È un’eccellenza ma ha sviluppato solo quella medicina. Se devi fare una visita oculistica ti senti rispondere che devi attendere 20 mesi. La medicina quotidiana è stata massacrata. Per una colonscopia in Lombardia puoi dover aspettare 6 o 7 mesi”.

La Lombardia come ispiratrice della privatizzazione nella sanità?
“Nessuna regione è arrivata all’estremo della Lombardia che nell’articolo 2 della legge 23 (di Fontana e Letizia Moratti) ha scritto che dentro il Servizio sanitario pubblico c’è la piena equivalenza tra struttura pubblica e privata. Noi riteniamo che questo sia anticostituzionale. Le leggi regionali devono essere approvate dal Consiglio dei ministri, avevamo chiesto a Speranza di bloccare questo passaggio, l’avevamo chiesto attivando un articolo costituzionale che prevedeva la possibilità di poter bloccare ma il governo non ha fatto nulla”.

Perché secondo lei le lacune della sanità non riescono a diventare un tema prioritario dal punto di vista e elettorale nonostante interessino la vita quotidiana delle persone?
“La gestione della sanità è affidata alle regioni e costituisce l’80% del bilancio regionale. È uno spazio enorme di investimento per il privato. La sanità è il secondo settore come dividendi per azionisti in tutte le borse internazionali e viene solo dopo il settore delle armi. Quindi le pressioni che il mondo politico subisce in quel campo sono fortissime. Aggiungiamo che il potere sanitario oggi controlla gran parte della comunicazione, quotidiani. Oggi criticare la sanità privata con nomi e cognomi, è difficilissimo per il rapporto strettissimo tra potere politico e sanitario”.

 

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