Al Mose fioccano ancora manette eccellenti

Di Fabrizio Gentile

Troppo potente per restare a piede libero. Il fatto che sia senza incarichi ufficiali, né pubblici né privati, per i giudici conta poco. La pericolosità di Milanese secondo i magistrati è parificata a quella di un boss potente, che può influire nelle segrete cose degli appalti e della carte connesse (e dunque anche farle sparire) grazie ai soldi che ha a disposizione con una semplice telefonata. E così è arrivato l’arresto, con l’accusa è di corruzione. Una sorta di provvedimento ‘annunciato’ visto che il nome di Milanese compariva più volte nell’ordinanza firmata dal Gip di Venezia Alberto Scaramuzza che il 4 giugno scorso ha portato all’arresto di 35 persone scoperchiando un sistema fatto di dazioni e
‘favori’ all’ombra delle centinaia di milioni che giravano per la realizzazione dell’opera chiamata a salvare la città lagunare dalle acque alte. Milanese, però, non era stato destinatario di alcun provvedimento restrittivo. Giocando d’anticipo, conscio dell’indagine, si sarebbe presentato spontaneamente prima della bufera alla Guardia di finanza per cercare di chiarire la propria posizione.

La ricostruzione
Per Giovanni Mazzacurati “era un problema fondamentale riuscire ad arrivare a convincere il Ministro Tremonti” che per il Mose “i finanziamenti potessero andare avanti”. E per cercare di garantire questi finanziamenti – stando alle testimonianze agli atti – l’allora presidente di Cvn si rivolse a Marco Milanese, consigliere del ministro delle Finanze. Secondo gli atti prodotti dalla Procura di Venezia a chiamare in causa Milanese sono in particolare tre persone e tutte parlano di una ‘mazzetta’ di 500mila euro.

La mazzetta da 500 mila
Si tratta di Claudia Minutillo, già arrestata e che ha patteggiato la pena diventando la ‘gola profonda’ dell’inchiesta; l’Ad di Palladio finanziaria Roberto Meneguzzo, tra gli arrestati di un mese fa, che avrebbe gestito la dazione predisposta da Mazzacurati per favorire il cammino del Mose all’interno del Cipe. Il terzo è Roberto Tomarelli, braccio destro dello stesso ex presidente di Cvn che è passato dal carcere ai domiciliari dopo un interrogatorio, il 25 giugno, davanti ai Pm titolari dell’inchiesta. Minutillo in un interrogatorio parla di come i 500mila euro da dare a Milanese fossero pronti al Cvn ma anche di come una perquisizione della Gdf nella sede del Consorzio avesse rinviato l’operazione, poi chiusasi direttamente a Milano. Meneguzzo, secondo l’ordinanza di arresto che lo vede come datore del denaro, era “a conoscenza dell’illecita finalità perseguita” da Mazzacurati e “lo metteva in contatto” con Milanese. Una conoscenza quella voluta da Mazzacurati per avvicinare Milanese in qualità di “consigliere politico” dell’allora ministro Giulio Tremonti. Nelle carte si legge così che Mazzacurati fece avere a Milanese 500 mila euro “personalmente”, “al fine di influire sulla concessione dei finanziamenti del Mose e in particolare nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera Cipe n. 31/2010 e nei decreti collegati anche la somma relativa ai lavori gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, inizialmente esclusa dal ministro, in violazione evidente dei principi di imparzialità e indipendenza”.

I collegamenti con le Fiamme Gialle
Meneguzzo poi, secondo l’ordinanza del Gip, ha fatto da tramite con Milanese per Mazzacurati in un’altra occasione, per arrivare al generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante oggi in quiescenza e finito nell’inchiesta. Tomarelli, alle domande degli inquirenti, sostiene che Mazzacurati “mi disse che effettivamente aveva dato del denaro a Milanese dal fondo che esisteva”, cioè da fondi neri realizzati con false fatturazioni. “Quindi lui utilizzava questo fondo – spiega Tomarelli parlando del presidente di Cvn – perché per Mazzacurati era un problema fondamentale riuscire ad arrivare a convincere il Ministro Tremonti che le cose, i finanziamenti potessero andare avanti”. “Quindi – sottolinea – sicuramente c’è stata, questo me l’ha confermato, una dazione di denaro anche consistente” ed è avvenuta “a fine giugno-luglio” del 2010. Ora il gip di Milano ha venti giorni di tempo, in base alla legge, per rinnovare l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Venezia e che ieri ha portato in carcere per corruzione l’ex parlamentare del Pdl Marco Milanese
nell’ambito dell’inchiesta sul Mose.

INCHIESTE E NEMICI IN TUTTA ITALIA. DA PUPILLO A CARNEFICE DI TREMONTI

Di Andrea Parenti

Soltanto tre anni fa, per un’accusa identica di corruzione, era riuscito a salvarsi. In quell’occasione era deputato, e fu proprio l’aula di Montecitorio a votare contro l’arresto che era stato chiesto dalla procura di Napoli. Stavolta, con l’esperienza politica chiusa al finire della XVI legislatura, Marco Milanese non ha potuto salvarsi. E così l’ex consigliere politico dell’allora ministro dell’economia, Giulio Tremonti, è stato arrestato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Secondo le ipotesi della procura veneta, l’ex deputato Pdl avrebbe preso 500mila euro dal Consorzio venezia nuova per sbloccare alcuni finanziamenti delle dighe mobile da parte del Cipe. Ma si tratta solo dell’ultimo capitolo di tutta una serie di vicende giudiziarie in cui Milanese è stato coinvolto negli ultimi anni. Il suo nome, infatti, è comparso in riferimento a indagini in mezza Italia per questioni legate all’ipotesi di corruzione.

La storia
La sua parabola comincia dopo la maturità in ragioneria, quando va in accademia e si arruola nella Guardia di finanza diventando tenente colonnello e “quadagnandosi” anche 10 encomi solenni. In piena tangentopoli, collabora con l’allora pm Antonio Di Pietro e il pool di “mani pulite” a Milano. Nel 2001 diviene addetto del ministero dell’Economia e delle finanze guidato da Giulio Tremonti, per poi diventare l’anno seguente consigliere politico delegato alle nomine negli enti pubblici dello stesso Tremonti (incarico mantenuto fino al 2006 e poi ricoperto di nuovo dal 2008 con Tremonti ministro).

Il legame
La sua carriera politica, sempre vicino a Tremonti, lo porta ad entrare in Forza Italia prima e nel Pdl poi diventando parlamentare e coordinatore del partito in Campania. Nel luglio del 2011 Milanese entra nel mirino della magistratura napoletana. L’accusa è quella di corruzione, per la quale viene chiesto l’arresto. Ad accusarlo è un avvocato, con numerosi interessi economici, che avrebbe dato un milione di euro più benefit vari a Milanese per evitare guai con la finanza. Un’altra vicenda vede Milanese emergere nell’inchiesta di appalti Enav-Finmeccanica. Poi nel 2012 – prima di finire nell’affaire Mose – Milanese viene indagato dalla Procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta che porta all’arresto di Massimo Ponzellini, ex banchiere della Banca Popolare di Milano. In quest’ultimo caso l’accusa mossa all’ex consigliere politico di Tremonti è quella di aver favorito, grazie a una legge ad hoc, una società che gestisce il gioco d’azzardo.

La casa
Altra vicenda in cui Milanese è rimasto coinvolto è quella della casa al centro di Roma presa in affitto dal Pio Sodalizio dei Piceni e messe gratuitamente a disposizione di Tremonti. Al centro della vicenda processuale i lavori di ristrutturazione non pagati dall’ex ministro. L’immobile, la cui ristrutturazione era costata 60mila euro, era stato affittato da Milanese nel 2010 al canone di 8.500 euro al mese. Una parte dell’affitto veniva pagato da Tremonti che l’aveva abitato fino all’estate 2011. La ristruttuazione era stata fatta dall’imprenditore Angelo Proietti (la cui società, Edil Ars, in quel periodo godeva di decine di appalti dalla Sogei, la società di informatica del ministero dell’economia) mentre l’abitazione era stata presa in affitto dal Pio sodalizio dei Piceni. Il procedimento era stato avviato a Napoli ma poi trasferito a Roma per competenza. L’ex ministro, imputato per finanziamento illecito di un deputato, ha pattaggieto versando 30 mila euro.